Corriere dello Sport

«STREGA, TI SALVI CON LA MENTALITÀ

«Un gruppo sano, giocatori forti e un club che mi dà tanta fiducia Non devo vendere le mie idee ma solo fare rendere al top i miei ragazzi. Crotone e Toro due sfide importanti­ssime Abbiamo fermato la Juve ma senza tifosi non è calcio»

- di Ettore Intorcia

Pippo Inzaghi, nel 2013 a Coverciano parlava di “mentalità per essere vincenti” nel calcio. È davvero così, la vittoria si costruisce prima in testa che sul campo?

«Tutto parte da lì, e la soddisfazi­one maggiore nel mio nuovo ruolo è misurare la crescita dei miei giocatori da quel punto di vista. Con la convinzion­e si raggiungon­o traguardi insperati e comunque, se uno ci crede e dà tutto se stesso, sarà sempre a posto con la coscienza. La pensavo così da calciatore, la penso così da allenatore».

La cultura del lavoro è più importante del talento?

«C’è chi nasce fortunato. Eppure ho visto tanti talenti che si sono persi per strada o calciatori “normali” che hanno raggiunto traguardi importanti­ssimi. Senza talento fai fatica, vero. Ma il talento va anche allenato».

Il suo Benevento è innanzitut­to una squadra forte mentalment­e?

«Quando vinci sei sempre visto come un fenomeno che sa dominare tutto dalla panchina, quando perdi non capisci niente e sbagli i cambi: ho visto allenatori vincere Champions eppure venire esonerati. Io ho giocatori forti, un gruppo sano, una società che mi dà estrema fiducia e mi fa lavorare al meglio. Io cerco di portare la mia impronta calcistica e le mie regole. Vale sempre quella battuta: gli allenatori devono fare meno danni possibile...».

Altri suoi colleghi usano espression­i come “il mio calcio”, “il gioco che proponiamo”, lei parla di calcio e basta. Bisogna per forza presentars­i come il nuovo profeta?

«È una cosa che nel calcio d’oggi paga, io però non devo vendere nulla: ho una carriera alle spalle, non devo fare a tutti i costi questo lavoro e alleno spinto dalla passione. Sono passato dalla A alla Lega Pro e quelle sono le trasferte più belle fatte da allenatore. Sono uno che ancora ha i brividi se pensa al Viareggio vinto con il Milan, proprio quando sarei dovuto andare ad allenare il Sassuolo al posto di Malesani, prima che Galliani fermasse tutto...».

E dunque...

«Allora, non dovendo vendere nulla, penso solo a mettere la squadra nelle condizioni ideali per esprimersi al meglio. L’anno scorso in B avevo una squadra molto più forte di tante altre e allora potevo giocare in un certo modo; quest’anno devo cercare la giusta compattezz­a per far reggere ai miei l’impatto con la categoria. Prendere 4-5 gol e sentire dire che il Benevento gioca il calcio più bello del mondo no, proprio non mi interessa. Voglio che si parli di squadra moderna, che sa difendere e attaccare a seconda del momento».

Ha scelto Benevento, ha scelto di ripartire dalla provincia. C’è un’altra Italia che può dare ancora tanto al sistema calcio? «Non c’è differenza, le pressioni e le critiche sono sempre le stesse, qui o in una città come Milano, e le metti sempre in conto. Sono arrivato qui per il mio rapporto con il diesse Pasquale Foggia: mi voleva già in passato, mi ha permesso di portare con me tutto il mio staff, un gruppo che mi aiuta a fare la differenza perché vive il calcio come lo vivo io. Lui ha insistito con il presidente, poi ho incontrato Vigorito ed è nata la scintilla. Sento tanta responsabi­lità nei loro confronti».

Ha trasformat­o Letizia in un terzino completo, schiera Improta in ogni ruolo, anche mezzala o in difesa. Per un calciatore non è mai troppo tardi per migliorars­i ed evolvere tatticamen­te? «No, e il loro percorso lo conferma. Ma ce ne sono tanti altri nel mio gruppo, è una soddisfazi­one importante. Senza la loro predisposi­zione non ci sarebbe stata una crescita esponenzia­le. Ecco: alcuni dei miei ragazzi non avevano mai giocato in A, altri ormai si considerav­ano non pronti per la A. E invece, con il lavoro, hanno dimostrato di potersela giocare».

Torniamo alla provincia: Grosso è partito dalla Renato Curi ed è arrivato a Berlino. Può sognare anche Letizia?

«Gaetano si è fatto male nel momento migliore, proprio quando si parlava di Nazionale: dispiace, perché è un ragazzo vero, come ce ne sono tanti in questo gruppo, altrimenti non sarebbero arrivati tutti quei record in B. Al di là di una chiamata all’Europeo, il fatto che in tanti si siano accorti di lui è bello, lo meritava. Lo aspettiamo presto».

Gli infortuni, il nuovo caso Covid: state pagando un prezzo elevato in termini di assenze. «Vero, soprattutt­o nell’ultima settimana con tre gare in sei giorni. Chi fa le coppe ha una rosa attrezzata, noi con l’Atalanta siamo arrivati corti e l’abbiamo scontato. Spero già da domenica, però, di avere qualche freccia in più».

Qual è stato il risultato più importante finora?

«A parte lo Spezia, le altre le abbiamo giocato tutte alla grande, non vedo un picco. E anche con l’Atalanta abbiamo retto facendo esordire Pastina, un 2001 che ha trovato subito l’assist, e schierando Di Serio e Foulon, che è un ‘99».

Ha affrontato tutte le prime della classe: chi lo vince questo scudetto? «Alla lunga dico che la favorita resta la Juve, per la forza della rosa che ha disposizio­ne. Ma mai come quest’anno il campionato è aperto e il Milan ora non è più una sorpresa. Se vinci senza Ibra, senza Kjaer, senza Bennacer, vuol dire che la squadra è cresciuta e che il club ha preso giovani di qualità. L’Inter ha il vantaggio, per così dire, di essere fuori dalla Champions: con la rosa che ha, non può non lottare per lo scudetto».

E poi?

«L’Atalanta mi ha fatto una grandissim­a impression­e: ha forza e qualità, può lottare fino alla fine. Anche la Roma potrebbe inserirsi, con Napoli e Lazio un po’ outsider. Ma in questo campionato ognuno pagherà qualcosa, tra infortuni e Covid. E vale anche per la salvezza: penso che il Genoa abbia scontato il focolaio di inizio stagione. E poi c’è il discorso degli stadi vuoti: senza pubblico, certe trasferte diventano più abbordabil­i».

«Letizia e Improta? Nel calcio si può crescere sempre Di Serio e Pastina: credo nei giovani»

Anche certe gare in casa, specie per i giocatori più sensibili ai fischi dei propri tifosi.

«Vero, per i giovani c’è anche meno pressione. Penso a Calabria, uno che ho fatto crescere io: all’inizio era stato preso

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