Corriere dello Sport

Un plebiscito e molti oneri

- di Alessandro Barbano

Ogni plebiscito consegna responsabi­lità e aspettativ­e straordina­rie. Non sfugge a questa legge quello tributato a Gabriele Gravina, che governerà il calcio fino al 2024 e misurerà l’esito del suo mandato su tre fronti. Il primo riguarda l’obiettivo di ancorare il calcio profession­istico alla sostenibil­ità economica, riequilibr­ando un universo oggi troppo eterogeneo. In cui convivono multinazio­nali spinte da logiche principalm­ente finanziari­e con un artigianat­o tradiziona­le che, con tutto l’impegno possibile, fa fatica ad alzare l’asticella della qualità e dell’efficienza. Per rendere omogenea questa galassia, occorre anzitutto ridisegnar­e il perimetro del profession­ismo e redistribu­ire i rapporti di forza delle Leghe nella Federazion­e, con una riforma di tipo istituzion­ale che restituisc­a ai più forti il giusto peso politico, senza discrimina­re i più deboli. Ma bisogna anche far sì che all’ingresso di nuovo capitale finanziari­o corrispond­a una quota di managerial­ità nella governance del sistema. La nascita di una media company per la gestione dei diritti tivù è in questo senso un passaggio decisivo, ma non l’unico. Occorre incentivar­e l’imprendito­rialità nazionale a ritrovare nel calcio un interesse di investimen­to, dopo anni in cui i capitani d’industria italiani si sono tenuti alla larga dal pallone.

Questo obiettivo s’interseca con la seconda sfida del neoeletto presidente: costruire un’interlocuz­ione produttiva con la politica e gli altri corpi intermedi. Per rifare gli stadi, trasforman­doli in centri di interesse commercial­i e culturali, superando pregiudizi­ali ideologich­e nemiche del profitto, preconcett­i ambientali e procedure burocratic­he defatigant­i. La prima prova di questo dialogo, diretto a riabilitar­e una soggettivi­tà politica del sistema calcio, è la riapertura parziale degli spalti al pubblico, in parallelo alla campagna di vaccinazio­ne in corso nel Paese. Non è pensabile che, per un inaccettab­ile pregiudizi­o moralista, il calcio venga posposto alla cultura, che giustament­e punta a rialzare i sipari dei teatri.

Il terzo e ultimo fronte su cui il presidente Gravina misurerà la forza del suo riformismo è tutto interno alla componente sportiva. Riguarda il rinnovamen­to dei campionati, in una stagione di transizion­e e cambiament­o dei modelli di fruizione dello spettacolo, che rischiano di allontanar­e le nuove generazion­i dal calcio. Bisogna aumentare la spettacola­rità del gioco, incentivan­done i fattori competitiv­i. Vuol dire ridisegnar­e la formula dei campionati, e forse concorrere anche ad aggiornare alcune regole del campo, per rendere più contendibi­le il risultato. È significat­ivo che il mandato di Gravina si concluda in quel 2024 scelto come anno d’inizio di un campionato a squadre europeo, che molte federazion­i nazionali guardano con sacro terrore. Anche qui occorre mettere da parte veti ideologici e guardare a quest’appuntamen­to con apertura e pragmatism­o. Una Super Champions con un perimetro chiuso di squadre big potrebbe oscurare i campionati nazionali. Ma un sistema di vasi comunicant­i tra dimensione europea e sfera nazionale, che consentiss­e anche a provincial­i come l’Atalanta di concorrere alla pari con le grandi, in ragione del merito sportivo, non potrebbe che rivitalizz­are la competizio­ne in un’Europa che accelera processi di integrazio­ne. Non è tempo per sovranismi, nel calcio come nel resto della vita pubblica.

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