Un plebiscito e molti oneri
Ogni plebiscito consegna responsabilità e aspettative straordinarie. Non sfugge a questa legge quello tributato a Gabriele Gravina, che governerà il calcio fino al 2024 e misurerà l’esito del suo mandato su tre fronti. Il primo riguarda l’obiettivo di ancorare il calcio professionistico alla sostenibilità economica, riequilibrando un universo oggi troppo eterogeneo. In cui convivono multinazionali spinte da logiche principalmente finanziarie con un artigianato tradizionale che, con tutto l’impegno possibile, fa fatica ad alzare l’asticella della qualità e dell’efficienza. Per rendere omogenea questa galassia, occorre anzitutto ridisegnare il perimetro del professionismo e redistribuire i rapporti di forza delle Leghe nella Federazione, con una riforma di tipo istituzionale che restituisca ai più forti il giusto peso politico, senza discriminare i più deboli. Ma bisogna anche far sì che all’ingresso di nuovo capitale finanziario corrisponda una quota di managerialità nella governance del sistema. La nascita di una media company per la gestione dei diritti tivù è in questo senso un passaggio decisivo, ma non l’unico. Occorre incentivare l’imprenditorialità nazionale a ritrovare nel calcio un interesse di investimento, dopo anni in cui i capitani d’industria italiani si sono tenuti alla larga dal pallone.
Questo obiettivo s’interseca con la seconda sfida del neoeletto presidente: costruire un’interlocuzione produttiva con la politica e gli altri corpi intermedi. Per rifare gli stadi, trasformandoli in centri di interesse commerciali e culturali, superando pregiudiziali ideologiche nemiche del profitto, preconcetti ambientali e procedure burocratiche defatiganti. La prima prova di questo dialogo, diretto a riabilitare una soggettività politica del sistema calcio, è la riapertura parziale degli spalti al pubblico, in parallelo alla campagna di vaccinazione in corso nel Paese. Non è pensabile che, per un inaccettabile pregiudizio moralista, il calcio venga posposto alla cultura, che giustamente punta a rialzare i sipari dei teatri.
Il terzo e ultimo fronte su cui il presidente Gravina misurerà la forza del suo riformismo è tutto interno alla componente sportiva. Riguarda il rinnovamento dei campionati, in una stagione di transizione e cambiamento dei modelli di fruizione dello spettacolo, che rischiano di allontanare le nuove generazioni dal calcio. Bisogna aumentare la spettacolarità del gioco, incentivandone i fattori competitivi. Vuol dire ridisegnare la formula dei campionati, e forse concorrere anche ad aggiornare alcune regole del campo, per rendere più contendibile il risultato. È significativo che il mandato di Gravina si concluda in quel 2024 scelto come anno d’inizio di un campionato a squadre europeo, che molte federazioni nazionali guardano con sacro terrore. Anche qui occorre mettere da parte veti ideologici e guardare a quest’appuntamento con apertura e pragmatismo. Una Super Champions con un perimetro chiuso di squadre big potrebbe oscurare i campionati nazionali. Ma un sistema di vasi comunicanti tra dimensione europea e sfera nazionale, che consentisse anche a provinciali come l’Atalanta di concorrere alla pari con le grandi, in ragione del merito sportivo, non potrebbe che rivitalizzare la competizione in un’Europa che accelera processi di integrazione. Non è tempo per sovranismi, nel calcio come nel resto della vita pubblica.