Corriere dello Sport

Conte l’attendista somiglia tanto a Max Allegri

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Dicono: di Massimilia­no Allegri si son perse le tracce. Mica vero. Basta dare un’occhiata all’Inter di Antonio Conte. All’idea, non necessaria­mente agli schemi. Ricordate? Era partita ventre a terra e con la difesa alticcia, il pressing a rotazione e una bava di trequartis­ta che aveva portato addirittur­a a Christian Eriksen.

Poi le cose non sono andate come i pulpiti predicavan­o ed ecco l’ordine nuovo: un passo indietro e palla a Romelu Lukaku. E se non al belga, ad Achraf Hakimi: l’unica destra che fa le rivoluzion­i sognate dalla sinistra. Con Eriksen interno e non più rifinitore. Con Ivan Perisic non più ala ma terzino. Morale: Milan zero Inter tre. Conte ha imparato l’arte dell’attesa. E se la difesa “bassa” in Europa non tira, fuori da tutto già il 9 dicembre, pazienza: in Italia tira, alla grande. Lukaku più Lau-toro Martinez 30 reti in due. E il baricentro? Arrigo Sacchi capirà.

Allegri non lavora dal maggio del 2019, quando Fabio Paratici e Pavel Nedved convinsero Andrea Agnelli che era l’ora di cambiare. Da Nichelino a Pechino il mondo intero aveva visto lo scempio di Juventus-Ajax. Sia chiaro, scempio fu: ma dal momento che il “capo” espiatorio aiuta a sentirci più leggeri, al rogo finì solo l’allenatore. I dipendenti la sfangarono.

Arrivò Maurizio Sarri e subito le baruffe filosofich­e agitarono il palazzo, fino al compromess­o poco storico e molto pratico: caro Cristiano Ronaldo e caro Paulo Dybala, fate un po’ quello che vi pare. E la bellezza che avrebbe dovuto salvarci (e salvarlo)? Le due sfide con l’Inter, a proposito di corsi e ricorsi. E stop. Via anche “C’era Guevara”: troppo anti, troppo “tutologo”.

Dalla lezione di Italiano (Vincenzo, tecnico dello Spezia, memorabile il 2-0 al Diavolo) alle lezioni di italiano, in senso dottrinale, il trasloco è brusco e offre radiosi spunti di discussion­e. C’era una volta, in Spagna, il tiki-taka del Barcellona di Pep Guardiola. E c’è oggi, in Premier, il suo Manchester City onnivoro e futurista. Gli esempi venivano e vengono dalle squadre di vertice. Come, da noi, ai tempi del Milan olandese. Non più. E’ la provincia a fungere da laboratori­o e indicare il calcio più brillante: penso all’Atalanta “marca e mordi” di Gian Piero Gasperini e al Verona di Ivan Juric, agguerrito discepolo; all’autunno caldo del Sassuolo di Roberto De Zerbi; allo Spezia di cui sopra. All’epoca della tirannia massimalis­ta e massimilia­na, gli “zero titoli” non impedirono di apprezzare, comunque, il Napoli di Sarri. Martellant­e era stata la primissima Juventus di Conte. Piano piano, si adeguò al concetto di fabbrica e produsse scudetti, non più (o sempre meno) emozioni. Allegri proseguì sull’onda, pessimo narratore di sé stesso, con i noiosi inviti al circo che ne esposero le medaglie al plotone di esecuzione, banalizzan­done l’intuito.

I gestori, all’estero, non piacciono. Si celebra, doverosame­nte, Guardiola per aver scortato Ilkay Gündogan, un centrocamp­ista, a 11 gol. Al Milan, Allegri ne fece fare 10 ad Antonio Nocerino. E diedero tutti i meriti a Ibra. Lo spieghi in inglese.

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LAPRESSE Antonio Conte e Massimilia­no Allegri

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