L’Italia declassata in zona grigia
Il meglio della nostra serie A stenta. Tanti i motivi: tattici, mentali. Ma la differenza maggiore è la qualità: i giovani campioni più forti da noi non arrivano più da tempo
Ora che stiamo per entrare nel cono d’ombra che ogni anno sidereo la stella Sanremo riverbera su tutti noi, davanti al modesto show offerto dalle nostre squadre in Europa viene in mente il sublime Iannacci da parafrasare.
Ora che stiam o per entrare nel cono d’ombra che ogni anno sidereo la stella Sanremo riverbera su tutti noi, davanti al modesto show offerto dalle nostre squadre in Europa e a certe stecche (anticipando l’Ibra canoro, per quel che si legge), viene in mente il sublime Iannacci (più Beppe Viola, un pianeta a parte) da parafrasare: “quelli che in Italia c’è il più bel campionato del mondo, oh yeah”. Davvero altri tempi. Il fatto è che questo nostro calcio mascherato, in mezzo a un mondo dolente, si è presentato alla ripartenza delle due coppe continentali, apparendo complessivamente molto al di sotto del livello vagheggiato. Peggio hanno fatto solo certi arbitraggi che hanno negato un rigore a Ronaldo a Oporto, uno a Milinkovic contro il Bayern fino all’espulsione “forzata” di Freuler contro il Real. Dettagli tutt’altro che irrilevanti, soprattutto in salita. Al netto di fischi e cartellini, però, questa fase, che non ammette per altro più possibilità di errore, è stata presa dall’ingresso sbagliato dalle nostre rappresentanti più ambiziose e titolate. Non è solo l’1-4 subìto dalla Lazio contro il Bayern campione del mondo che pesa sulla valutazione d’insieme. E’ il quadro dei risultati e soprattutto il modo in cui sono maturati che resta poco incoraggiante. Ovviamente il discorso esula dalla miracolosa Atalanta, rimasta aggrappata fino all’ultimo, oltre il Real, al suo sogno, anche dopo una partita orientata come quella di ieri sera. Alt, ok. Si potrà obiettare, legittimamente, da Torino a Napoli: mancano tutte le partite di ritorno, come è possibile concionare a giochi ancora aperti? Prima risposta: bello sarebbe lavorare in un mensile... Replica sostanziale: gli elementi per una riflessione di sistema, parziale ma argomentata, ci sono comunque già tutti.
E’ un fatto che le nostre migliori squadre, che da noi guardano le altre dall’alto in basso, fuori dai nostri confini stanno vivendo una realtà rovesciata, Roma a parte. L’Inter, capolista e in fuga, è addirittura solo spettatrice. Il Milan, protagonista di un 2020 da campione, non riesce a battere la piccola Stella Rossa attuale, rimasta in dieci. E la Juve dominatrice da nove stagioni in Italia, pur avendo assicurato, attraverso le parole di capitan Chiellini alla vigilia, che non avrebbe ripetuto l’errore di un anno fa, invece lo bissa e perde secco col Por
to, attardato in classifica. Anche il Napoli esce male col Granada, non propriamente una corazzata. Per non parlare della bambola presa dalla Lazio, mescolando il peggio che può capitare in una serata europea: approccio timoroso, errori fatali e gratuiti, scoramento. Buono più buono fa buono; per contro, sbaglio più sbaglio fa cappotto per gli altri. Vale per la squadra di Inzaghi ma per esempio anche per il Barcellona del dio (pur minore in questa fase) Messi, spesato dal Psg con lo stesso risultato. Uscito anche sulla ruota di Wolfeberg, spianato dal Tottenham. L’1-4 dunque è solo un aspetto. Oltretutto per una Lazio che mancava da lustri a certi livelli della competizione più performante. E l’”abitudine” a certi impegni, la gestione delle tensioni, vale molto in questo quadro. Ci sarebbe da dire poi del nostro tatticismo, inversamente proporzionale in genere all’intensità richiesta dal calcio continentale. Un approccio che a certe latitudini estere evidentemente ci penalizza. Perché, sottolineamolo, non c’è un calcio solo, ma tanti quanti sono i livelli agonistici, tra campionati, coppe internazionali, fino a quello delle nazionali. Come spiegare altrimenti il fatto che Lewandowski l’Implacabile, ultima vittima Reina, in cinque precedenti contro l’Italia non abbia mai segnato (né vinto per altro). Continuando a giocare, l’attuale podio dei bomber del campionato, CR7-Lukaku-Ibra messi insieme, in sei incontri totali contro gli azzurri ha vinto una sola volta (il belga) e fatto una sola rete (Ibra, dolorosissima per la verità). Ma andiamo oltre. Arrivando al piano che esula dai risultati (ancora aperti, abbiamo convenuto). Quello del livello qualitativo del nostro calcio rispetto a quello delle elité europee. Questione parallela a quello dell’accesso alle fasi successive delle nostre sei squadre. E che viene da lontano.
SECONDO MONDO. Negli ultimi dieci anni, quelli che partono dal Triplete interista, che chiudeva il primo decennio del 2000, folgorante per il movimento calcistico italiano (un Mondiale per Nazioni, 2 Mondiali per Club, 3 Champions con un derby italiano in finale e un’altra finalista sfortunata) l’Italia è rimasta indietro. Il quadro: tre finali perse, due di Champions dalla Juve e una d’ Europa League dall’Inter l’agosto scorso, a cui aggiungere tre semifinali sfortunate, la Roma in Champions nel 2017, Fiorentina e Napoli in Europa League nel 2015. La lettura di questi piazzamenti passa attraverso una doppia lente. Quella più volte ricordata dei bilanci, dei fatturati, e quella meno citata ma diretta conseguenza dei primi, ovvero il valore delle rose. Soprattutto da questa graduatoria appare come l’Italia, come sistema, appartiene al Secondo Mondo del calcio, una sorta di A2. Tra City e Liverpool, oltre il miliardo di euro agli oltre 700 milioni di United e Tottenham scorrono i primi 10 super club, zeppi di campioni top. La Juve, undicesima, e l’Inter, quasi appaiata aprono la teoria delle inseguitrici, che sfila fino al 22° posto, occupato dalla Roma, il 23° dall’Atalanta e il 24° dalla Lazio, col Napoli 15° e il Milan 17°. Quando il confronto sbarca in Europa questi valori non possono non pesare. I grandi campioni nel pieno della propria spinta propulsiva qui non arrivano più. Nel 2018, nel mondiale di Russia che gli azzurri hanno mancato, la nazionale “italiana” era quella polacca, con 7 giocatori arrivati dal nostro campionato (una colonia ampliatasi). Buoni giocatori, certo, ma non in grado di far salire il livello della nostra serie A (per altro il loro mondiale fu pessimo), anche perché il loro fuoriclasse, il Boniek di questi tempi, lo abbiamo visto due sere fa all’Olimpico e gioca in Germania. Discorso che vale in parte per i croati (sei gli “italiani” a Mosca) visto che il loro craque Modric dal 2012 è al Real. Per il momento dunque, aspettando un rinascimento ancora non praticato dai nostri club, si può sperare nella maturazione di una nuova generazione di giovani di qualità, alla Barella, nel solco di quanto tracciato dal ct Mancini. A patto di non assistere alla loro esplosione altrove, come è accaduto a Coman e sta accadendo a Kean.
Le coppe europee tanto attese sono ripartite. Il quadro per i nostri club però non è certo molto rassicurante
Il valore delle rose dà la vera misura del gap: Juve solo 11ª, le altre più giù
In Russia la “nostra” nazionale era quella polacca. Ma il top Lewa è al Bayern