L’occasione da un fallimento
Cos’altro avremmo potuto chiedere a questo Napoli decimato dagli infortuni, fiaccato dalla fatica e dalla depressione, privo di un’idea chiara di gioco, costretto a inseguire una stagione che gli sfugge? Il due a uno portato a casa al Maradona è figlio di sprazzi di classe che si vestono di scatti d’orgoglio, come quello di Zielinski che accende la gara. E illude. Ma è figlio anche dei limiti che l’angoscia e la stanchezza enfatizzano in una rincorsa caotica, raramente sincronica, poco incisiva. Che alla fine delude.
Così, in poco più di un mese la SuperCoppa, la Coppa Italia e l’Europa League sono andate in dissolvenza, come illusioni bruciate. La solitudine di Gattuso è diventata un’emozione cosmica, che l’immagine dei suoi occhi mostra plasticamente sullo sfondo degli spalti vuoti. Dice, quello sguardo, che tutta l’esperienza di trent’anni di calcio non basta a ricucire il buco da cui le ambizioni del Napoli sono uscite a una a una, perdendosi.
Si è rotto, il Napoli. Di nuovo. E questo ritorno della crisi pesa come una coazione maledetta. Come la prova di un’insormontabile soglia, sulla quale si spezza ogni progetto. Ieri Ancelotti. Oggi Gattuso. Due anni sembrano passati invano. Ma questa è l’esclusione che brucia di più. Perché quando il fischio dell’arbitro annuncia la fine del settimo minuto di recupero, l’incubo di uscire - la prossima stagione - dal perimetro dell’Europa è più che una probabilità.
Il Napoli è settimo in classifica. Con una gara da recuperare. Ma che gara! La speranza di vincere a Torino il 17 marzo non ha quotazioni nella borsa dello spirito azzurro. Davanti ci sono, oltre alla Juve, la Roma, l’Atalanta e la Lazio. Quattro per due posti di Champions, lasciando alle milanesi gli altri due. Però, mai come in questo momento il destino del tecnico e quello della squadra sono avvoltolati nella stessa certezza che nessuno ha più nulla da perdere. Non c’è, com’è evidente, la fiducia del presidente. Né quella della piazza. Da oggi si va in campo senza il peso delle responsabilità, tutte già disattese. E si gioca una volta la settimana. Con tempi di recupero che, per il Napoli come per l’Inter, diventano competitivi.
È l’inizio di un finale nuovo. Scritto dal fallimento. Ma, per paradosso, più aperto. È l’occasione per spezzare la spirale maledetta e ritrovarsi. Osando tutti, a cominciare dal tecnico, un po’ di più. Costi quel che costi. Per cambiare e crescere, senza pensare a come andrà a finire. Vale la pena di provarci.