Rino cerca i gol perduti e finalmente c’è Mertens
Dries ha saltato tredici partite Oggi centravanti con Politano Zielinski e Insigne a sostegno
Certo, non è stato facile: perché se all’improvviso, e solo su decisione del fato, ti tolgono centotrenta gol dall’area di rigore, tra quei fili d’erba qualche problema inevitabilmente germoglia. Però è finita, almeno così pare e dopo averlo atteso a lungo - come un Godot del calcio - Dries Mertens è ricomparso e stavolta lo farà dall'inizio: lo ha già fatto giovedì sera, per trenta velleitari minuti che è andato ad aggiungere ai centotto “rubati” tra Fiorentina, Verona, Spezia in Coppa Italia e la finale di Supercoppa, ma in realtà sono due mesi e mezzo - e per la precisione settantaquattro giorni - che il Napoli ha atteso il suo profeta del gol, smarritosi a San Siro con un infortunio che l’ha frenato, l’ha spinto a curarsi un po’ a casa in Belgio ed un po’ in giro per il Mondo con un fisioterapista amico. In realtà, in quest’anno che rischia di trasformarsi in sciagurato e che può essere ancora in qualche modo salvato, Mertens non è mai stato se stesso, s’è fermato su livelli che sono distanti dalle proprie abitudini (cinque reti, cosa volete che siano?), poi ha ondeggiato un po’ ai margini di un‘idea di calcio disperatamente distante dalla sua vocazione di centravanti (a)tipico, perché s’è dovuto spesso accomodare tra le linee. Però, con questo scugnizzo che è entrato nella città e l’ha sedotta e conquistate con le sue moine e le sue prodezze, con capolavori che pure il Benevento ricorderà (pallonetto con cucchiaio, al «Vigorito», nel 2017) la vita assume altri contorni e si colora.
L’UOMO DEI SOGNI. Mertens ha rappresentato, e non ha mai smesso, la figura simbolica dell’uomo dei sogni, un attaccante capace di uscire dal proprio corpo e dalla propria anima defilata sulla fascia e di irrompere, ma prepotentemente, nel cuore della gente e pure in quello degli schemi d’un calcio verticale, meglio se con il tridente. Il Napoli e Gattuso ne hanno dovuto fare a meno per tredici partite, che però in realtà diventano diciassette, perché nelle quattro in cui è stato impiegato Sua Maestà ha lasciato che in campo vagasse la propria ombra, alla ricerca di una condizione e di una stabilità fisica che gli hanno consentito, inutilmente, di strappare un calcio di rigore a Mc Kennie nella notte amara di Reggio Emilia. Poi è rimasto questo infinito letargo, che il destino gli ha imposto con una distorsione crudele. E il bomber della doppia cifra - mai sceso al di sotto - e spedito da Sarri a vivere in una dimensione da «mostro sacro», s’è dovuto accontentare di osservare, di imprecare al vento e semmai di mettere assieme un puzzle con il quale comporre un personalissimo calendario per rinascere con il Napoli. Gli restano sedici partite, non sono neanche poche a pensarci bene.
LA SVOLTA. In questi mesi senza Mertens, e pure senza Osimhen, da qualche settimana persino svuotati dalle presenze di Lozano e di Petagna, al Napoli è mancato fatalmente l’estro di chi dal nulla sa scovare una magìa capace, eventualmente, di oscurare persino i propri difetti. E sarà un caso, ma probabilmente non lo è, che una squadra a trazione anteriore, con nel proprio codice genetico un centinaio di gol o giù di lì (da Benitez a Sarri e sino ad Ancelotti) ha consegnato il compito in bianco nella finale di Supercoppa con la Juventus, nella andata delle semifinali di Coppa Italia con l’Atalanta e poi a Granada, in quella ch’è stata la posa della prima pietra di un’eliminazione che brucia ancora. Ma a questo Napoli più che l’acqua sul fuoco serve chi sappia infiammarlo ancora: nuovo Ciro, nuova corsa.
Sinora solo cinque gol: per la rimonta in campionato serve la sua doppia cifra