«Stadio, flop Capitale: ora nuovo patto»
«Tre peccati originali nel progetto di Pallotta Serve un patto civico per il rilancio della Capitale»
Parliamone con chi se ne intende. Raffaele Ranucci è imprenditore partito dal settore alberghiero, uomo politico già senatore e assessore regionale.
Parliamone con chi se ne intende. Raffaele Ranucci è imprenditore partito dal settore alberghiero, uomo politico già senatore e assessore regionale, a suo tempo incaricato di varie cose nel mondo dello sport, tra cui la presidenza del settore tecnico della Figc e la vicepresidenza della Roma, oltre alla guida della promozione della candidatura olimpica del 2004. Sì, se ne intende. Argomento: stadio della Roma a Tor di Valle, progetto sottoposto a eutanasia dallo stesso club dopo nove anni di fragili speranze e comiche sofferenze.
Ranucci, la morale di questa storia?
«Che i piani ambiziosi devono essere proporzionati alle necessità e alla fattibilità. Con Viola nel 1986 proponemmo uno stadio prima alla Magliana, poi alla Romanina. Viola vedeva molto lontano e capiva che un impianto costituiva la patrimonializzazione di una società, uno strumento per competere a livello nazionale e internazionale. Vale ancora oggi. Ma nel progetto di Pallotta c’erano tre errori di principio».
Quali?
«Lo stadio non può essere il grimaldello di una speculazione, e uso la parola speculazione in senso del tutto innocente. E’ stata scelta dall’inizio una zona inadatta, già carica di problemi. E’ sicuramente sbagliato individuare un’area e destinarla a un uso non previsto, costruendo migliaia di metri cubi di uffici e andando a fare concorrenza a ciò che già esiste. Secondo: perché lo stadio della Juventus deve costare molto meno di quello della Roma? Quindi, stadio sì, supporti commerciali all’investimento anche, però proporzionati allo scopo, che rimane la realizzazione e la gestione di un impianto sportivo».
L’idea era attirare in quegli uffici e in quella zona commerciale investimenti dall’estero.
«Ma questo non può essere affidato allo sforzo di un singolo come Pallotta. Questo avrebbe richiesto una grande operazione di marketing della città, proprio ciò che manca a Roma. Mentre, non mancano di sicuro gli uffici, per esempio nella zona dell’Eur. E la domanda di strutture simili non c’è».
Siamo rimasti a due errori. «Il terzo è la proprietà dell’impianto. Che non sarebbe stato della Roma, bensì di una società che avrebbe fatto pagare alla società un affitto. Allora tanto vale restare all’Olimpico e pagare il Coni. Poi, hai voglia a dire che gli utili del complesso sarebbero stati reinvestiti nella squadra. Intanto Pallotta quando ha capito che lo stadio non arrivava se n’è andato».
Resta il fatto che la Roma resta per adesso senza stadio di proprietà e Roma perde un’altra prospettiva di sviluppo.
«La colpa delle amministrazioni è non aver colto le debolezze del progetto. Il problema di Roma è la mancanza cronica di internazionalizzazione delle iniziative. Una città straordinaria vicina al mare, con uno splendido aeroporto, le grandi ambasciate, il polo industriale di Pomezia, quartieri fantastici senza neppure parlare del patrimonio storico
Ranucci, politico e uomo di sport: «Città fantastica che ha perso troppi anni»
e artistico. Perché una grande azienda deve andare in Austria o in Olanda dove la qualità della vita è decisamente minore? Perché non riusciamo a vendere, tra virgolette, questa bellezza? Nel 2007 andammo con Veltroni a spiegare il fenomeno Roma a Milano, che invece era in depressione. Perché adesso è cambiato tutto?».
Lo spieghi lei, esponente di un partito, il Pd, che ha amministrato a lungo la città.
«Con Rutelli e Veltroni, Roma era considerata assieme a Parigi la realtà europea maggiormente in crescita. Poi abbiamo avuto il periodo Alemanno, su cui mi risparmio i commenti. A Marino e Raggi va dato credito di un percorso di trasparenza, ma anche di immobilismo. Non facciamo le Olimpiadi perché si ruba, ma che follia è? Con quella rinuncia la città ha perso un’occasione unica. Ora, tutti dicono che Roma è importante. Bene, se è così i leader Salvini, Meloni, Berlusconi si candidino. Invece Roma in politica viene utilizzata sempre come trampolino di lancio».
CI aspettano altre occasioni uniche da perdere?
«Non da perdere, da sfruttare. Intanto il Giubileo del 2025 arriverà. A Roma sappiamo organizzare, anche i grandi eventi sportivi riescono sempre benissimo. All’estero si stupiscono, ma qui c’è abbondanza di competenze e l’intelligenza della flessibilità. Servirebbe una riforma amministrativa: Roma è una città enorme che deve avere i poteri di una regione e municipi che godano di autonomia. E serve un grande patto tra politica, imprenditoria, cultura. Quando si parla di Roma si comprende anche il Vaticano, con tutto il suo potere di attrazione. Il futuro sindaco deve presentarsi con un piano di questo tipo. Utilizzando anche i fondi che avremo dall’Europa».
Tornando ai dettagli: dove si potrebbe realizzare davvero questo stadio?
«Dalla Magliana alla Romanina, Tor Vergata che in realtà è un’area pubblica, le zone adatte esistono. Inoltre l’intero settore del Flaminio, magari per altri scopi, va recuperato. Comune, Regione e imprenditore si siedono a un tavolo e scelgono. I permessi in un anno, in altri due la costruzione. Gli stadi vanno fatti, a una sola condizione: che si facciano davvero».