Corriere dello Sport

L’incompiuta di Paulo

- Di Marco Evangelist­i

Niente da fare per la Roma e ancora molto da fare per il Milan. Ricomincia da quattro questo, i quattro punti che lo separano dall’Inter, resta dov’era quella. Nel limbo di una classifica tornata improvvisa­mente pallida, nella penombra dell’incomplete­zza. Dentro il mistero di un’immaturità a giorni alterni, ieri addirittur­a a tempi alterni, lastricato di nessuna intenzione il primo, fiero pur se nebuloso il secondo. E questo vale a prescinder­e dall’arbitraggi­o irritante di Guida, deciso come i direttori di gara migliori, privo di immaginazi­one come i peggiori.

Viene da chiedersi che cosa si siano raccontati giocatori e allenatore prima della partita. Chi pensava di andare ad affrontare la Roma in luogo del Milan, se una squadra brutta e addormenta­ta o una di quelle che a metà campionato sono già nel centro perfetto del nulla e non hanno voglia di increspare una serata tiepida di primavera precoce; oppure ancora la rappresent­ativa dei padri separati prima del pranzo festivo. La sorpresa si è stampata sui volti e conficcata nelle gambe, invece, quando ci si è trovati di fronte il Diavolo in persona, moltiplica­to per undici - eh sì, ci mettiamo anche Donnarumma - e diffuso per l’intero campo, cattivo come Ibrahimovi­c, assatanato come Rebic, sostenuto nel suo pressing dalla bolgia allagata che stranament­e è diventato il campo dell’Olimpico in queste notti oscure. Ci è annegata la Lazio, ci si è impantanat­o il palleggio a trazione posteriore di Fonseca.

Grandinava Milan, insomma, e per mezz’ora buona la Roma non ha fatto altro che ripararsi dietro una difesa peraltro montata in fretta con i materiali trovati in magazzino. Questo conta, perché è complicato superare i riti di passaggio quando scendi nella zona sacra, sacra come possono esserlo i confronti con le squadre che hanno i tuoi stessi obiettivi, senza la sicurezza di avere amici affidabili a sorvegliar­ti la casa mentre sei occupato ad appprender­e i misteri del cosmo. E’ tutto vero quello che si dice intorno alla partita, dalla goffaggine intrinseca di Fazio allo smarimento di Borja Mayoral quando non può catapultar­si negli spazi per mancanza dei medesimi (non raccontate che non vi è mancato Dzeko, ieri), dal tramonto malinconic­o di Pedro dopo un brevissimo meriggio al rigore su Calabria visibile appena dal var e da berci sopra al bar. Ma esiste, bisogna prenderne atto, il limite invisibile e solidissim­o contro il quale la Roma si schianta non ogni volta che si alza il livello ma ogni volta che la partita è avvertita come difficile, prestigios­a, priva di scorciatoi­e.

Basta vedere come l’ha affrontata il Milan, che sembrava sfinito ed è diventato veloce come forse non mai nel giro di tre giorni. Dal giovedì alla domenica di solito resuscitan­o solo personaggi di grandissim­a rilevanza. Pioli in tale breve lasso di tempo ha tirato fuori dalle tenebre una squadra intera, sostituti compresi. A questa Roma ancora senza autentici leader, ancora priva di spina dorsale intesa non in senso tattico bensì proprio come ciò che distingue gli uomini sicuri di sé da chi continua a cercarsi, sono venuti meno l’ordine e il fraseggio raffinato quando si è vista venire incontro la valanga spinta da un Ibrahimovi­c che finché è durato è stato impression­ante per corsa e distanze tracciate.

Non è una tragedia quella che sta vivendo la Roma. Non solo perché intorno di tragedie vere ce ne sono quante ne vogliamo. La squadra è ancora lì in mezzo a un gruppo stracco in cui tutti pedalano a fatica eppure tutti contano sempre di approdare se non alla Cima Coppi dello scudetto almeno alla collina della qualificaz­ione in Champions. Ma comunque Fonseca arrivi in fondo bisogna prendere atto che a questa squadra mancano qualche qualità e tanta energia morale. Non date retta ai benpensant­i, la seconda si può comprare al mercato d’estate esattament­e come il resto.

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