L’incompiuta di Paulo
Niente da fare per la Roma e ancora molto da fare per il Milan. Ricomincia da quattro questo, i quattro punti che lo separano dall’Inter, resta dov’era quella. Nel limbo di una classifica tornata improvvisamente pallida, nella penombra dell’incompletezza. Dentro il mistero di un’immaturità a giorni alterni, ieri addirittura a tempi alterni, lastricato di nessuna intenzione il primo, fiero pur se nebuloso il secondo. E questo vale a prescindere dall’arbitraggio irritante di Guida, deciso come i direttori di gara migliori, privo di immaginazione come i peggiori.
Viene da chiedersi che cosa si siano raccontati giocatori e allenatore prima della partita. Chi pensava di andare ad affrontare la Roma in luogo del Milan, se una squadra brutta e addormentata o una di quelle che a metà campionato sono già nel centro perfetto del nulla e non hanno voglia di increspare una serata tiepida di primavera precoce; oppure ancora la rappresentativa dei padri separati prima del pranzo festivo. La sorpresa si è stampata sui volti e conficcata nelle gambe, invece, quando ci si è trovati di fronte il Diavolo in persona, moltiplicato per undici - eh sì, ci mettiamo anche Donnarumma - e diffuso per l’intero campo, cattivo come Ibrahimovic, assatanato come Rebic, sostenuto nel suo pressing dalla bolgia allagata che stranamente è diventato il campo dell’Olimpico in queste notti oscure. Ci è annegata la Lazio, ci si è impantanato il palleggio a trazione posteriore di Fonseca.
Grandinava Milan, insomma, e per mezz’ora buona la Roma non ha fatto altro che ripararsi dietro una difesa peraltro montata in fretta con i materiali trovati in magazzino. Questo conta, perché è complicato superare i riti di passaggio quando scendi nella zona sacra, sacra come possono esserlo i confronti con le squadre che hanno i tuoi stessi obiettivi, senza la sicurezza di avere amici affidabili a sorvegliarti la casa mentre sei occupato ad appprendere i misteri del cosmo. E’ tutto vero quello che si dice intorno alla partita, dalla goffaggine intrinseca di Fazio allo smarimento di Borja Mayoral quando non può catapultarsi negli spazi per mancanza dei medesimi (non raccontate che non vi è mancato Dzeko, ieri), dal tramonto malinconico di Pedro dopo un brevissimo meriggio al rigore su Calabria visibile appena dal var e da berci sopra al bar. Ma esiste, bisogna prenderne atto, il limite invisibile e solidissimo contro il quale la Roma si schianta non ogni volta che si alza il livello ma ogni volta che la partita è avvertita come difficile, prestigiosa, priva di scorciatoie.
Basta vedere come l’ha affrontata il Milan, che sembrava sfinito ed è diventato veloce come forse non mai nel giro di tre giorni. Dal giovedì alla domenica di solito resuscitano solo personaggi di grandissima rilevanza. Pioli in tale breve lasso di tempo ha tirato fuori dalle tenebre una squadra intera, sostituti compresi. A questa Roma ancora senza autentici leader, ancora priva di spina dorsale intesa non in senso tattico bensì proprio come ciò che distingue gli uomini sicuri di sé da chi continua a cercarsi, sono venuti meno l’ordine e il fraseggio raffinato quando si è vista venire incontro la valanga spinta da un Ibrahimovic che finché è durato è stato impressionante per corsa e distanze tracciate.
Non è una tragedia quella che sta vivendo la Roma. Non solo perché intorno di tragedie vere ce ne sono quante ne vogliamo. La squadra è ancora lì in mezzo a un gruppo stracco in cui tutti pedalano a fatica eppure tutti contano sempre di approdare se non alla Cima Coppi dello scudetto almeno alla collina della qualificazione in Champions. Ma comunque Fonseca arrivi in fondo bisogna prendere atto che a questa squadra mancano qualche qualità e tanta energia morale. Non date retta ai benpensanti, la seconda si può comprare al mercato d’estate esattamente come il resto.