Covid, torna il rischio di uno stop
Il 9 marzo 2020 la sospensione del calcio. Adesso, insieme alla curva dei contagi, cresce la paura di un altro blocco
Il 9 marzo 2020 a Reggio Emilia il cartello di Caputo diventò il simbolo della voglia di resistere e di andare avanti Dopo 12 mesi però gli scenari non sono così diversi
Com’è triste Sassuolo soltanto un anno dopo. Lì si concluse l’ultimo weekend di calcio prima della serrata. C’erano le porte chiuse e ci sono ancora. Con il rosso andavi a casa, l’arancione indicava una situazione un po’ più grave del giallo. È ancora uguale, calcio e vita si sovrappongono. Ma ora, a pronunciarli, quei colori, non viene in mente un pallone che rotola ma un indice che sale. Il calcio è un secchiello che tenta di riempire una buca nella sabbia. Non ce la fa, ma almeno si/ci tiene impegnati. Stadio di Reggio Emilia lunedì 9 marzo 2020: Sassuolo-Brescia 3-0. Ciccio Caputo, autore di una doppietta, dopo il primo gol mostra un cartello: “Andrà tutto bene. Restate a casa”. Diventerà un mantra, ci credevamo. Adesso non più. Il Paese è in crisi, i contagiati proprio ieri hanno superato i 3 milioni. E nel calcio si litiga, ognuno chiuso nella sua parrocchietta. Il solito. Però, per adesso, si va avanti. Altri non possono dire lo stesso.
CHIUSO. La diffusione del virus trova tutti impreparati. La prima giornata a essere investita è la 25ª, spezzata in due, ma è la successiva, con Juventus-Inter dimezzo a provocare polemiche, insulti eh ashtagperen tori, tipo# campionato falsato. Madama vorrebbe il pubblico (5 milioni di incasso), l’Inter che il recupero non ingolfasse la stagione di Conte, tra campionato e coppe (VotAntonio le aveva). Fa tenerezza rileggere quelle parole perché vi troviamo la convinzione che si possa tornare alla regolarità in poche settimane. Il Dpcm (ahi che male) del 4 marzo dispone che “per un mese, fino al 3 aprile, le partite della Serie A si disputeranno a porte chiuse”. E invece quando Manganiello fischia la fine a Sassuolo, comincia il lungo addio del football. Tre mesi e passa senza calcio. Sassuolo-Brescia, però, non è l’ultima partita di una squadra italiana. Il giorno dopo, martedì 10 marzo, l’Atalanta gioca lo storico ritorno degli ottavi di Champions a Valencia, a porte chiuse. L’Uefa, al solito, non ha preso decisioni certe, infatti, mercoledì 11.300 spagnoli vanno a Liverpool a esultare per l’Atletico Madrid che vince 3-2. I 52mila di Anfield Road stretti, stretti, sono una iattura. Un anno dopo le partite inglesi e spagnoli le vengono a giocare a Torino.
RIAPERTO. In quei mesi abbiamo tirato fuori l’album dei ricordi, raccontando un calcio d’antan per riempire il vuoto. Gli altri l’hanno riempito di litigi. Lega, Figc, Coni, ministro Spadafora (una prece) tutti contro tutti sulla ripresa, con i presidenti di serie A che al posto di una strategia comune (al solito) cercano di ottenere quello che pensano sia meglio per il loro club. Chi crede che sia l’anno buono per lo scudetto ma non è primo, preme per ricominciare al più presto. Chi è ai bordi del baratro retrocessione e teme di finirci dentro, punta a un anno d’amnistia. Niente su, niente giù. Soprattutto rispunta il luogo comune di un calcio di ricchi e famosi, viziato e distante dal popolo, dimenticando che il calcio è una grande chiesa, direbbe Jovanotti, che va da Ronaldo a quello che pulisce le tribune dove la partita. Il primo problemi non ne ha, il secondo sì (ancora oggi, visto che non c’è niente da pulire). Gli stadi sono come i ristoranti. Vogliono riaprire e avere clienti.
Alla fine, dopo infinite discussioni, minacce, accuse reciproche e cambi di schieramento, viene approvato un protocollo che consente al pallone di
Dal protocollo Covid ai diritti Tv, il calcio si mostra coerente: è sempre diviso
rivedere le stelle il 12 giugno con Juventus-Milan, semifinale di Coppa Italia. Gigi Buffon, alla vigilia, racconta (i calciatori hanno un’anima), che “è stato un periodo complicato, ci ha messo a dura prova, il senso di indeterminatezza condizionava il nostro umore”. Il campionato di luglio e le Coppe europee a seguire, rappresentano qualcosa di inedito, imperfetto, a volte malinconico, ma che, alla fine, funziona. Anche perché d’estate il virus sembra quasi scomparso e i “Mille” vengono ammessi allo stadio.
RICOVID. Quasi scomparso. Riappare con i primi freddi. E con lui i “furbetti del protocollino”. Finché i club non avevano contagiati (o erano rari) nessun problema, poi fatta la legge, trovato l’inganno. Lega, Figc e Coni non aiutano, anzi, complicano. Il protocollo si doveva aggiornare, qualcuno ha ciurlato nel tampone, ci sono Asl interventiste e altre isolazioniste. Navigazione a vista. Ecco, qui siamo, un anno dopo. Il calcio continua a litigare, dal protocollo ai diritti tv/fondi. Però almeno è coerente, è stato sempre un po’ stronzo e non ha mai finto di essere migliore, come quelli che cantavano dalle finestre o come quelli che non hanno risolto nulla.
Ieri il Governo ha rivelato ci sono un milione e mezzo di vaccini fermi nei frigoriferi su 6 milioni e mezzo distribuiti. Forse Ciccio Caputo quel cartello eviterà di rimetterlo, ma il calcio, almeno, qualcosa ha distribuito. Partite, discussioni, spettacolo. Un briciolo di contentezza.
Dalla ripresa ad oggi dal campo è anche arrivato un briciolo di contentezza