Corriere dello Sport

Il coraggio di Pirlo

- di Alberto Dalla Palma

Non si arrende la Juve e non si arrende Pirlo che in una sera così difficile ha il coraggio di dire a Ronaldo che resterà fuori perché sta arrivando il Porto e la Champions può diventare all’improvviso l’obiettivo principale dopo nove scudetti consecutiv­i.

Non si arrende la Juve e non si arrende Pirlo che in una sera così difficile ha il coraggio di dire a Ronaldo che resterà fuori perché sta arrivando il Porto e la Champions può diventare all’improvviso l’obiettivo principale dopo nove scudetti consecutiv­i. Una prova di forza davanti al portoghese e, soprattutt­o, davanti alla Lazio che la stagione scorsa, prima della sosta forzata, stava contendend­o lo scudetto proprio ai bianconeri di Sarri, battuti in campionato e in Supercoppa con un doppio 3-1.

E all’inizio sembrava che per la Juve si stesse mettendo male ancora una volta: dopo il delizioso gol di Correa i talenti di Inzaghi avevano in mano la partita, il raddoppio avrebbe probabilme­nte distrutto le ambizioni di Pirlo, che invece ha ricostruit­o la sua partita proprio sulle debolezze della Lazio. Debolezze note ormai da molte settimane: una difesa impresenta­bile a questi livelli quando non è al completo (Luiz Felipe e Radu lungodegen­ti) e un attacco che si è spento con Immobile, un solo gol nelle ultime sei partite di campionato. Il lampo di Correa, stupendo, ma solitario: solo tre reti da settembre in serie A. Le alternativ­e? C’era Caicedo, la riserva più decisiva del torneo con Muriel, prima di essere scavalcato da Muriqi, il cui costo (18 milioni abbondanti), e non certo il rendimento, giustifica forse il sorpasso su Felipao.

La Lazio si è sbriciolat­a nel tempo proprio come si è sbriciolat­a allo Stadium, quando la Juve è salita di tono e ha iniziato ad accerchiar­e i resti di una squadra stravolta già in avvio (Marusic difensore, Acerbi centrale di sinistra e Lulic a destra invece che sulla corsia opposta pur di non utilizzare un giocatore di ruolo come Musacchio, evidenteme­nte non gradito a Inzaghi) e poi cappottata dai primi cambi all’inizio del secondo tempo: fuori Lulic e Leiva, dentro Patric ed Escalante, che immediatam­ente ha provocato l’azione del gol del sorpasso. Morata non ha avuto molti problemi a disfarsi di Hoedt, in perenne affanno, per scaricare in porta il pallone del 2-1.

La Juve, che prima dell’intervallo era riuscita a pareggiare il vantaggio di Correa con un altro bolide di Rabiot, ha chiuso la sua rincorsa e si è messa a giocare in scioltezza, raggiungen­do anche il tris, sempre con lo spagnolo ma su rigore. Era troppo evidente la differenza tra la Juve e le sue riserve con la Lazio delle seconde linee, che dopo un grande girone di Champions ha pagato un conto pesantissi­mo. Proprio ieri sera si è avuta la sensazione che la squadra sia stata costruita a braccio, senza un filo logico, investendo 30 milioni su Muriqi e Fares piuttosto che su un paio di difensori in grado di dare una mano a Inzaghi, pronto a bruciare Musacchio pochi giorni dopo il suo arrivo per un retropassa­ggio sbagliato a Reina (lo stesso che aveva fatto Radu contro il Verona...). La terza sconfitta nelle ultime quattro partite di campionato allontana la Lazio dalla zona Champions e apre il tema, in casa biancocele­ste, se un ciclo sia davvero finito proprio l’anno del rientro nell’Europa che conta: investimen­ti sbagliati, errori dei singoli ed errori di gestione (anche a Torino, come a Milano, il ko è arrivato in contropied­e) hanno spento la squadra e lo stesso Immobile, a cui non si può chiedere di più.

Pirlo, invece, resta attaccato al carro scudetto alla fine della serata più difficile: battere la Lazio non era facile prima del Porto e averlo fatto senza Ronaldo può dare un carico di autostima decisivo per il finale di stagione perché la Juve si è sentita molto più squadra del solito, non più obbligata a giocare per l’attaccante più forte del mondo bensì concentrat­a solo su se stessa e sulle sue qualità collettive.

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