Il valore delle certezze
Si può fare, perché c‘è ancora vita intorno a Napoli e dentro di sé, in quel guscio pieno di piedi buoni, di verticalità, di autorevolezza che, messi assieme e shakerati, trasformano il calcio in arte varia. La messa non è ancora finita e in quel che resta di questa stagione a tratti torbida, ricca di paradossi e di controsenso, il Napoli s’è rimesso in religiosa attesa ad aspettare il responso del destino: dopo aver aspettato se stesso, ha smesso di buttarsi via, ha ritrovato la propria leggerezza, quella rotondità e quella compiutezza anche geometrica che può dare un senso a questa stagione contraddittoria, un po’ dolce come ora e un po’ salata clome le nove sconfitte che incidono. Ma il retrogusto lo deciderà la Champions. Un’ora e mezza intensa, stavolta (quasi) senza amnesie, attraversata non solo con padronanza ma pure con fierezza, praticamente mai svuotata della presenza fisica, tattica e cerebrale: una squadra che sa cosa chiedere è uscita dagli equivoci, ha trovato l’equilibrio in mezzo al campo con l’abbinamento Demme-Fabian, si è ricomposta intorno a Koulibaly, al quale lo schermo protettivo dà più contributi di quanti in certi istanti ne offra Manolas, e poi l’estro e la rapidità di pensiero di Zielinski e di Insigne che sostengono persino i momenti di umanissima riflessione. Genova per il Napoli diventa di nuovo uno spartiacque: lo fu il 6 febbraio, quando la sconfitta rumorosa di Marassi divenne una macigno insopportabile per l’umore di Gattuso e anche per la classifica; lo è da questo 11 aprile - con la spregiudicatezza sfruttata per liberarsi dalla Sampdoria - che può spalancare ancora le porte del salotto buo- no dell’aristocrazia calcistica, un luogo ch’è stato ripetutamente frequentato nel corso dell’ultimo decennio, che il «Progetto» e la consistenza tecnica attuale valgono, per intelligenza, per qualità dei singoli, per abbondanza d’organico (e pure per monte ingaggi, sintesi di qualsiasi valutazione spicciola ed economica). Nell’eleganza dei Fabian Ruiz e degli Zielinski, nell’umiltà degli Insigne o dei Koulibaly, nella esuberanza degli Osimhen e dei Mertens, nella voracità di chi non vuole arrendersi ed anzi disperatamente reagisce, c’è la sintesi di un’idea di calcio che sta germogliando quasi come se fosse una nuova primavera e può ancora consentire di ripresentarsi al tavolo dei grandi per rimettere a posto in conti con se stessi.