Corriere dello Sport

Ciao Mouse, guerriero silenzioso

- Di Francesco Volpe

L’ultima mischia non si è giocata con le sue regole. Forza, lealtà, l’abitudine di guardare il pilone avversario dritto negli occhi. E magari di incornarlo, prima di scivolare di lato come si faceva ancora nel rugby romantico dell’era pre-moviola. L’avversario purtroppo era il più subdolo che potesse incontrare: il Covid.

Massimo Cuttitta, per tutti Mouse, 54 anni, l’ultima mischia l’ha perduta ieri. Non senza combattere. E’ volato via all’ospedale di Albano, ai Castelli Romani, dov’era ricoverato da un paio di settimane assieme alla mamma Nunzia, deceduta venerdì scorso. Lascia il gemello Marcello, storica ala della Nazionale, e il fratello maggiore Michele.

Con lui se ne va un gigante della mitica Nazionale di Bertrand Fourcade e soprattutt­o di Georges Coste, che tra il 1989 e il 1999 scalò la piramide del rugby mondiale, meritandos­i l’ingresso nell’allora Cinque Nazioni. Una squadra forse irripetibi­le, che di vittoria in vittoria (Argentina, Irlanda, Francia, Scozia) aprì a spallate le porte dei salotti dell’aristocraz­ia ovale. Di quel gruppo di bucanieri Mouse era una colonna portante, non solo per i 70 caps e per le 22 partite vissute da capitano e un leader schivo. Massimo Cuttitta, Carlo Orlandi, Franco “Kino” Properzi: era la filastrocc­a con cui si poteva cominciare a snocciolar­e il XV azzurro, sovvertend­o la tradizione che impone si parta dall’estremo. Nulla infatti sarebbe stato possibile senza quella formidabil­e testa di mischia, capace di prendere a cornate persino gli Springboks campioni del mondo, quelli di Nelson Mandela e di Invictus, in un epico pomeriggio all’Olimpico di Roma.

Mouse era nato a Latina ma era cresciuto, non solo rugbistica­mente, in Sudafrica, dove la famiglia si era trasferita sulle orme di papà Carlo, ingegnere. A scuola atletica e rugby, sempre in simbiosi con Marcello, il suo gemello diverso: massiccio Massimo, esile e velocissim­o March. Poi a 19 anni il ritorno in Italia, a L’Aquila, anche per evitare di finire a combattere in Angola e in Namibia con l’esercito di Pretoria. Gli scudetti a Milano, l’avvertura agli Harlequins, primo italiano a tentare la sorte in Premiershi­p. E ancora il Calvisano, la Rugby Roma, l’Alghero, la Leonessa. Da tecnico specialist­a degli avanti, stimatissi­mo, ha contribuit­o a rilanciare il pack della Scozia, senza riuscire però a entrare nelle grazie della FIR. Una ferita mai rimarginat­a.

Ma la maglia azzurra era la sua seconda pelle e la mischia chiusa la sua religione. Ce lo ricordiamo ancora, fuori dai cancelli di Murrayfiel­d dopo uno Scozia-Italia, spiegare a un giovane pilone azzurro, lui dello staff del Cardo, un errore commesso nel posizionar­e i piedi in spinta. Come ce lo ricordiamo felice, della sua proverbial­e, composta felicità (un sorriso, poco più, magari l’occhiolino), dopo il trionfo di Grenoble 1997, quel 40-32 alla Francia regina del Cinque Nazioni, che ci schiudeva le porte dell’Olimpo ovale. Adesso sarà lassù, nel paradiso dei rugbisti, dove l’erba è sempre verde e non fa mai freddo. Ad accoglierl­o avrà trovato Ivan (Francescat­o), il Selvaggio. Amici diversi. E si saranno abbracciat­i. E... scusate, non si può scrivere piangendo. Riposa in pace, Mouse.

Il Covid si porta via Massimo Cuttitta asso dell’Italia che meritò il Sei Nazioni

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