Perché non diverte più
Dal derby-rissa alle libertà di Sanremo: equilibrio sottile Protagonista più fuori che dentro il campo. E il campione rischia di non stare al passo del personaggio
Zlatan Ibrahimovic non fa più ridere. E non è la prima volta. Credevamo che i suoi continui paragoni con Dio, o con il re di Svezia, fossero battute. Che rientrassero nella costruzione del personaggio.
Zlatan Ibrahimovic non fa più ridere. E non è la prima volta. Credevamo che i suoi continui paragoni con Dio, o con il re di Svezia, fossero battute. Che rientrassero nella costruzione del personaggio: una sorta di Bud Spencer, certamente più gradasso ma in fondo dalla parte dei buoni. Non immaginavamo che invece parlasse sul serio.
Sorridevamo perché pensavamo che danzasse sul filo dell’ironia, come si conviene alle persone intelligenti. Lo abbiamo sempre considerato in grado di capire quando fosse il momento di scherzare e quando di fare sul serio. Come il giorno in cui annunciò la guarigione dal virus: «Il Covid ha avuto il coraggio di sfidarmi. Pessima idea». E utilizzò la stessa falsariga nel ruolo di testimonial antiCovid per la Regione Lombardia: “Tu non sei Zlatan, non sfidare il virus”. Il supereroe che si mette al servizio della comunità. Cattivo ma solo per finta. È per recitare questo ruolo che è stato invitato al festival di Sanremo.
Da qualche tempo, però, Ibra ci sta facendo sorgere più di un dubbio sulla sua sensibilità. È come se il gioco gli avesse preso la mano. Perché non ha nulla di farsi aprire un ristorante in piena pandemia, a Milano, in spregio alle regole che da oltre un anno stanno angosciando gli italiani. È un comportamento improntato alla legge del marchese del grillo più che all’Onnipotente: “io so’ io e voi nun siete...”. È l’ennesima manifestazione di protervia dei viziati del calcio.
E non è la prima volta. Ibra ha cominciato a far notizia più per altro che per i suoi gol. Sanremo, il passaggio in moto da uno sconosciuto per arrivare in tempo al teatro Ariston, la rissa con Lukaku, le due espulsioni. Corre il rischio di diventare una versione contemporanea di Gascoigne, meno etilica ma ugualmente insopportabile. Non siamo ancora a quel livello, però ci siamo vicini.
C’è inoltre un aspetto che lo svedese sta sottovalutando. Deve stare attento a capire per tempo quanto sia ancora solido l’architrave che ha sempre retto il personaggio: le sue gesta in campo e la professionalità. La spacconeria è sempre andata di pari passo col calciatore Zlatan. Se il fuoriclasse non è più tale, il resto non fa ridere. È come l’eroe che perde i superpoteri. È Obelix che non è caduto più nella pozione magica, visto che reciterà nel prossimo film di Asterix.
C’è una data che potrebbe aver segnato lo sliding doors di Zlatan: il 26 gennaio 2021, la sera di Inter-Milan derby di Coppa Italia. Per un’ora, Ibra è assoluto protagonista: Lawrence Olivier di San Siro. Prima sedivertente gna un gran gol e poi fa perdere le staffe a Lukaku. L’accenno di rissa, le accuse, poi cadute, di razzismo. Non è una scena edificante. Ma il vero colpo al personaggio arriva qualche minuto più tardi. Quando è lui a mostrare di non reggere più la tensione e si fa espellere per una stupida quanto inutile entrata da dietro a centrocampo su Kolarov. Finisce vittima del mind game da lui stesso creato.
Per Ibra sta avvenendo quel che accadde per John McEnroe. Una cosa è spaccare bottiglie, polemizzare con arbitri e il mondo intero ma poi battere Borg e vincere Wimbledon; un’altra è trascinarsi stancamente sui campi piazzando ogni tanto qualche deliziosa volée tra scenate diventate stancanti. È la differenza tra l’iracondia del genio e il mettere tristezza. È la crudele legge dello sport, e anche della vita.
Zlatan è troppo preso da sé per rendersi conto che, con lui o senza di lui, la media punti del Milan non cambia. Senza di lui il Milan ha collezionato 2,08 punti a partita; con lui 2,12. E di gare ne ha saltate tredici su trenta: quasi la metà. Sabato sera a Parma, l’ultimo show: l’espulsione rimediata dall’arbitro Maresca. Anche in questo caso, come per Lukaku, non è chiaro che cosa abbia detto Zlatan. Forse è un equivoco, sta di fatto che gli equivoci cominciano a essere tanti.
C’è un aneddoto che accompagna lo svedese. Quando giocava nel Milan, dieci anni fa, ai compagni che non riteneva all’altezza faceva trovare nello spogliatoio le magliette di squadre di serie inferiori - il Monza, l’Alzano - col loro numero e il loro nome. Come a dire: “è quello il tuo posto, non il Milan”. Si rideva, qualcuno magari controvoglia, ma si rideva. Ibra deve essere bravo a capire che non è più divertente. Prima che glielo faccia capire la vita.