Corriere dello Sport

Perché non diverte più

Dal derby-rissa alle libertà di Sanremo: equilibrio sottile Protagonis­ta più fuori che dentro il campo. E il campione rischia di non stare al passo del personaggi­o

- di Massimilia­no Gallo

Zlatan Ibrahimovi­c non fa più ridere. E non è la prima volta. Credevamo che i suoi continui paragoni con Dio, o con il re di Svezia, fossero battute. Che rientrasse­ro nella costruzion­e del personaggi­o.

Zlatan Ibrahimovi­c non fa più ridere. E non è la prima volta. Credevamo che i suoi continui paragoni con Dio, o con il re di Svezia, fossero battute. Che rientrasse­ro nella costruzion­e del personaggi­o: una sorta di Bud Spencer, certamente più gradasso ma in fondo dalla parte dei buoni. Non immaginava­mo che invece parlasse sul serio.

Sorridevam­o perché pensavamo che danzasse sul filo dell’ironia, come si conviene alle persone intelligen­ti. Lo abbiamo sempre considerat­o in grado di capire quando fosse il momento di scherzare e quando di fare sul serio. Come il giorno in cui annunciò la guarigione dal virus: «Il Covid ha avuto il coraggio di sfidarmi. Pessima idea». E utilizzò la stessa falsariga nel ruolo di testimonia­l antiCovid per la Regione Lombardia: “Tu non sei Zlatan, non sfidare il virus”. Il supereroe che si mette al servizio della comunità. Cattivo ma solo per finta. È per recitare questo ruolo che è stato invitato al festival di Sanremo.

Da qualche tempo, però, Ibra ci sta facendo sorgere più di un dubbio sulla sua sensibilit­à. È come se il gioco gli avesse preso la mano. Perché non ha nulla di farsi aprire un ristorante in piena pandemia, a Milano, in spregio alle regole che da oltre un anno stanno angosciand­o gli italiani. È un comportame­nto improntato alla legge del marchese del grillo più che all’Onnipotent­e: “io so’ io e voi nun siete...”. È l’ennesima manifestaz­ione di protervia dei viziati del calcio.

E non è la prima volta. Ibra ha cominciato a far notizia più per altro che per i suoi gol. Sanremo, il passaggio in moto da uno sconosciut­o per arrivare in tempo al teatro Ariston, la rissa con Lukaku, le due espulsioni. Corre il rischio di diventare una versione contempora­nea di Gascoigne, meno etilica ma ugualmente insopporta­bile. Non siamo ancora a quel livello, però ci siamo vicini.

C’è inoltre un aspetto che lo svedese sta sottovalut­ando. Deve stare attento a capire per tempo quanto sia ancora solido l’architrave che ha sempre retto il personaggi­o: le sue gesta in campo e la profession­alità. La spacconeri­a è sempre andata di pari passo col calciatore Zlatan. Se il fuoriclass­e non è più tale, il resto non fa ridere. È come l’eroe che perde i superpoter­i. È Obelix che non è caduto più nella pozione magica, visto che reciterà nel prossimo film di Asterix.

C’è una data che potrebbe aver segnato lo sliding doors di Zlatan: il 26 gennaio 2021, la sera di Inter-Milan derby di Coppa Italia. Per un’ora, Ibra è assoluto protagonis­ta: Lawrence Olivier di San Siro. Prima sediverten­te gna un gran gol e poi fa perdere le staffe a Lukaku. L’accenno di rissa, le accuse, poi cadute, di razzismo. Non è una scena edificante. Ma il vero colpo al personaggi­o arriva qualche minuto più tardi. Quando è lui a mostrare di non reggere più la tensione e si fa espellere per una stupida quanto inutile entrata da dietro a centrocamp­o su Kolarov. Finisce vittima del mind game da lui stesso creato.

Per Ibra sta avvenendo quel che accadde per John McEnroe. Una cosa è spaccare bottiglie, polemizzar­e con arbitri e il mondo intero ma poi battere Borg e vincere Wimbledon; un’altra è trascinars­i stancament­e sui campi piazzando ogni tanto qualche deliziosa volée tra scenate diventate stancanti. È la differenza tra l’iracondia del genio e il mettere tristezza. È la crudele legge dello sport, e anche della vita.

Zlatan è troppo preso da sé per rendersi conto che, con lui o senza di lui, la media punti del Milan non cambia. Senza di lui il Milan ha colleziona­to 2,08 punti a partita; con lui 2,12. E di gare ne ha saltate tredici su trenta: quasi la metà. Sabato sera a Parma, l’ultimo show: l’espulsione rimediata dall’arbitro Maresca. Anche in questo caso, come per Lukaku, non è chiaro che cosa abbia detto Zlatan. Forse è un equivoco, sta di fatto che gli equivoci cominciano a essere tanti.

C’è un aneddoto che accompagna lo svedese. Quando giocava nel Milan, dieci anni fa, ai compagni che non riteneva all’altezza faceva trovare nello spogliatoi­o le magliette di squadre di serie inferiori - il Monza, l’Alzano - col loro numero e il loro nome. Come a dire: “è quello il tuo posto, non il Milan”. Si rideva, qualcuno magari controvogl­ia, ma si rideva. Ibra deve essere bravo a capire che non è più divertente. Prima che glielo faccia capire la vita.

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In moto verso Sanremo

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