OSIMHEN PIACE COSÌ PER LO SPRINT FINALE
La lunga assenza (tre mesi) del nigeriano è pesata parecchio ma l’acquisto più costoso del club partenopeo finalmente è tornato a brillare Con Victor in prima linea, il Napoli ha soluzioni alternative, chance e gol: Gattuso conta su di lui per entrare in
Ese, sul serio, ci fossimo persi qualcosa, in quel buco nero enorme, gigantesco, forse persino più imponente del metro e ottantasei che al Napoli è mancato? In settantasette giorni, addolorato prima dalla lussazione alla spalla destra e poi dagli effetti del Covid, Victor Osimhen è rimasta un’idea, anzi un rimpianto, ma adesso ch’è tornato e prepotentemente- la domanda sorge spontanea: cos’ha perso, il Napoli, quei tre mesi scarsi?
RESURREZIONE. È stata dura, e probabilmente durissima, per chiunque, Osimhen compreso, che ad un certo punto si è intristito, ritrovandosi avvolto in quella vena di malinconia che l’ha posseduto e distratto, di certo isolato, e l’ha disorientato: ma adesso ch’è ricomparso, si direbbe risorgendo da se stesso, un gol al Bologna (alla ventiseiesima), uno al Crotone (alla ventinovesima) e un altro alla Sampdoria (alla trentesima) risistemano l’umore e pure la classifica e adesso sanno un po’ di Champions League o di qualcosa che gli somiglia.
LA DIFFERENZA. Perché avercelo o non avercelo, ovviamente, non può essere la stessa cosa: con Osimhen il campo si è improvvisamente allungato ed anche accorciato, come un elastico sfruttato ad uso e consumo della sua velocità, quello che l’ha spinto prima a surclassare Danilo, contro il Bologna, poi Yoshida, a Marassi, lasciandoli praticamente sul posto o comunque a distanza assai poco ravvicinata. Osimhen è (diventato) un fattore, un’indicazione, una opzione nella sua «diversità», nella sua verticalità aspirata da una rapidità impressionate, e ciò ch’emerge, in questa fase di un anno a tratti orribile e adesso almeno agrodolce, è la possibilità di potersi orientare seguendo le sue percussioni, anche la sua ispirazione, quella leggerezza che afferra i momenti delle partite per manipolare a proprio uso e consumo lo sviluppo di una serata o di un pomeriggio. Ma Osimhen al Napoli è mancato, fosse pure e solo statisticamente, ha dovuto imparare dal divano di casa, nei giorni del virus e pure in quelli dell’incidente in Nazionale che ha sottratto non solo energie, ma una variabile tattica da poter sfruttare.
LA SVOLTA. C’è voluto un bel po’ per ritrovarlo al fianco del Napoli, completamente recuperato, senza più ombre e forse pure senza traccia di paura, ma l’ultimo Osimhen si è spinto oltre, è riuscito a ribaltare le gerarchie, a sistemare a bordo campo - e cioè in panchina - Dries Mertens, incurante del suo regno pieno di 134 gol e del trono di principe del gol. La svolta, in quel frammento di gara a Torino, mercoledì scorso contro la Juventus, nella dimostrazione di efficienza e anche di faccia tosta, tra De Ligt e Chiellini, nella capacità di modificare l’inerzia di una partita apparentemente chiusa, mai seriamente riaperta con il rigore «strappato» nel finale, eppure vissuta su scosse sistematiche e su un benessere fisico e psicologico che è servito al Napoli per sembrare «altro».
CON LUI. Osimhen è stato comunque «condizionante»: lo è diventato immediatamente, «costringendo» Gattuso ad abbandonare il caro, amato «tridente» e virare sul 4-2-3-1 per far convivere le varie anime di una squadra che con Lozano, Mertens e Insigne va ritenuta persino «esagerata»; lo è ridiventato poi ora, con questa «insurrezione» che rimescola le priorità e probabilmente spingerà ancora e di nuovo Mertens a fungere da spettatore: il Re che guarda ed osserva è una novità insospettabile, neanche tanto tempo fa. Sembra quasi un’altra vita: e forse qualcosa è andata perduta ma può essere ancora recuperata.
Nel 4-2-3-1 Vic dà forza d’urto e apre spazi per Insigne Zielinski e Mertens