Faenza-Maranello il derby della Formula 1
Sembrava un confronto impossibile ma adesso lo scenario è cambiato La ex Minardi, oggi Alpha Tauri, da scuderia artigianale a team di vertice. Spinta dalla Honda
Se imbocchiamo la via Emilia passando da Modena, la distanza fra Maranello e Faenza è di centodieci chilometri. Guidando piano, possiamo vedere fuori dal finestrino le insegne della Ferrari, della Maserati, della Lamborghini, della Ducati e, poco distante arrivando a Faenza, dell'Alpha Tauri, che un tempo si chiamava Minardi. Poco prima, la vista sfiora la Tosa e la Rivazza, le storiche curve dell’autodromo di Imola che Enzo Ferrari contribuì a completare a fine anni Sessanta quando non riuscì a realizzare il “suo” circuito di Modena.
La nuova “Minardi” sorge però dalla parte opposta dello stradone su cui il vecchio patron Gian Carlo, che all’epoca gestiva una grossa concessionaria Fiat nella città romagnola, l’aveva fondata nel 1985, anno della sua prima apparizione in F.1: furono 21 stagioni per 340 punti, zero vittorie ma tanta palestra per futuri campioni a partire da Alonso.
Oggi, quella che era una scuderia artigianale e che dava lavoro a una cinquantina di addetti fra tecnici e meccanici, più una manciata di ingegneri, tutti della zona o quasi, si è trasformata in una vera e propria azienda automobilistica che occupa 600 persone provenienti da tutto il mondo, una buona percentuale delle quali lavorava già a distanza prima dell’arrivo della pandemia e alla quale sta stretto il salary cap di 130 milioni di euro imposto dai regolamenti della Formula 1, nel 2021, alle scuderie che non producono i motori. Ai tempi di Minardi, con 20 degli attuali milioni all'anno facevi tutto. Oggi la power unit dell’Alpha Tauri, come si si chiama la ex Toro Rosso, che prese il nome quando nel 2006 il patron della Red Bull, Dieter Mateschitz, decise di acquistarla da Paul Stoddard, il manager australiano che l'aveva appena comprata da Minardi, è realizzata in esclusiva da Honda.
La AT21 di Pierre Gasly e Yuki Tsunoda è una vettura completamente made in Faenza con i motori che arrivano dal Giappone, sulla quale mettono le mani tecnici di tutto il mondo. Venticinque su seicento sono i dipendenti ancora presenti dalla prima avventura artigianale, tutta olio emulsionabile e trucioli, altri sono andati in pensione oppure hanno subito il cambio di mentalità che è passato dai tentativi eroici di provincia a un’azienda dal profilo internazionale, gestita dal severo team principal austriaco Franz Tost e che oggi punta a vincere, così come è successo a Monza lo scorso settembre.
Non tragga in inganno il fatto che anche la Casa Madre anglo-austriaca disponga dei propulsori di Tokyo: ognuno fa la propria corsa all’interno della galassia delle scuderie appannaggio del patron della bibita energetica. Solo dal punto di vista sportivo c’è contatto con Milton Keynes (vedi la scelta dei piloti, la loro maturazione a Faenza per poi scalare le gerarchie oppure fare marcia indietro, come è successo a Pierre Gasly) e ciò dipende dalle valutazioni del plenipotenziario Helmut Marko più ancora che del team principal Chris Horner. L’Alpha Tauri, come si chiama la griffe di abbigliamento che riprende lo stile di vita Red Bull, è infatti autonoma e italiana: ha mantenuto il titolo di scuderia perché corre con licenza tricolore e per conservare quel sapore tipico che caratterizza la Terra dei Motori.
Il cambio di passo semmai coincide con l’evento di Imola, un GP che appartiene da sempre ai tifosi della Ferrari, ma a maggior ragione, distando l’autodromo “Enzo e Dino Ferrari” appena sedici chilometri da via della Boaria 266, dove ha sede la scuderia faentina, lo è anche della ex Minardi. E se nel 2008 la prima vittoria nel GP d’Italia di Sebastian Vettel sulla vecchia Toro Rosso era stata un evento sporadico, oggi stare davanti alla Ferrari è diventato un obiettivo per l’Alpha Tauri e Maranello, che non poteva essere rivale perché troppo distante, ora è diventato un competitor. Numeri, tempi e prestazioni parlano chiaro: se sulle rive del Santerno domenica dovesse riecheggiare l’inno di Mameli, potrebbe non essere solo grazie alla Rossa.
25 dipendenti sono ancora quelli dei primi anni di Formula 1