Uefa, abolito il gol che vale doppio
L’esordio nel 1967 con Eusebio Tante partite risolte con questa novità Adesso tutto sta cambiando Abolita la regola della rete che vale doppio se segnata fuori casa. Ceferin: «Non si attaccava più per paura»
Dalla prossima stagione nelle Coppe chi segna in trasferta non avrà vantaggi: in caso di parità i supplementari
Adesso è ufficiale: la Uefa, dopo 55 anni, ha abolito la regola dei gol in trasferta da tutte le sue competizioni. Una decisione che entrerà in vigore dalla prossima stagione, e che si inserisce in un contesto storico in cui il calcio è radicalmente mutato rispetto a qualche decennio fa. Ma partiamo dall’inizio.
SPETTACOLO. La “away goal rule”, che a parità di punteggio complessivo premia chi segna di più fuori casa, venne introdotta dalla Uefa nel 1965-66 e applicata a partire dal 1967-68 (il primo a sfruttarne l’introduzione fu il Benfica, che grazie al gol di un inconsapevole Eusebio e all’1-1 dell’andata eliminò i nordirlandesi del Glentoran dopo lo 0-0 casalingo). La norma fu pensata per favorire lo spettacolo, incoraggiare uno stile di gioco più offensivo e soprattutto per ridimensionare il peso della fortuna, superando quella roulette russa della “monetina” che consegnava squadre e nazionali inermi tra le braccia della sorte. Da qui, dall’incapacità di accettare il potere del Fato, divinità imperscrutabile a cui in principio dovevano sottostare persino Zeus e Giove e che la modernità non è più in grado di sostenere, nacque la regola dei gol in trasferta. Mezzo secolo, poco più, e le condizioni sono cambiate di nuovo.
LA MODIFICA. Come ha precisato la Uefa nella sua nota ufficiale, «le statistiche dalla metà degli anni ‘70 ad oggi mostrano una chiara tendenza alla continua riduzione del divario tra il numero di vittorie in casa/fuori (dal 61%/19% al 47%/30%) e il numero medio di reti a partita segnate in casa/trasferta (da 2.02/0.95 a 1.58/1.15)». Il tutto per svariati fattori – migliore qualità dei campi, maggior cura dell’arbitraggio, condizioni di viaggio più confortevoli, calendari più equilibrati etc. – fatto sta che con l’avvento del coronafootball, il quale ha pressoché omologato i termini di casa e trasferta, si sono create le condizioni ideali per una modifica chiacchierata da anni.
SEDIE E DERBY. Una nuova era per il calcio che però oggi ci riporta alla mente, episodio dopo episodio, le porti girevoli della vecchia. Così ci ricordiamo della sedia di Mondonico, sollevata al cielo come “simbolo Toro, di chi tifa contro tutto e tutti” e “arma da osteria” in quel celebre Ajax-Torino 0-0, ritorno della finale di Coppa Uefa 1992: allora, dopo il 2-2 dell’andata, c’era sicuramente la rabbia per un rigore non concesso, ma anche la frustrazione per quella maledetta regola che condannava il Torino dopo una partita dominata, segnata da due pali e una traversa. E poi come non pensare ai derby dei derby, quelli della Madonnina in semifinale di Champions 2003, che davanti agli 80mila di San Siro e ai milioni in mondovisione si decisero solo grazie al gol in “trasferta” del Milan, nel suo stesso stadio. Tanti ricorderanno ancora l’andata, una stracittadina bloccata, dominata dalla tensione e dalla paura (è anche comprensibile), nella quale Ancelotti pensò a non prenderle per poi andarsela a giocare lì, “fuori casa”. Così fece e, dopo lo 0-0 dell’atto I, il gol in trasferta di Shevchenko solo eguagliato da quello di Martins portò all’Inter il pareggio più doloroso della sua storia. Ma di casi ce ne sono a centinaia, fino ad arrivare alle eliminazioni juventine degli ultimi due anni: l’1-0/2-1 con il Lione, che sorrise ai francesi grazie al gol siglato all’Allianz, stessa storia per il 2-1/3-2 con il Porto.
RIVOLUZIONE. Da qui in poi entriamo invece nel campo del soggettivo. Come detto il clima maturato negli ultimi anni ha portato ad una accoglienza in gran parte entusiastica della riforma targata Uefa. Il livellarsi delle condizioni e soprattutto l’esigenza di “giustizia”
e controllo – nella necessità di annullare l’approssimazione, pensiamo al VAR – ci portano oggi a non accettare più condizioni diverse e trattamenti “di favore”. E qui si scontrano due grandi ideologie del nostro tempo e del nostro calcio: da un lato quella dello spettacolo come qualità, football offensivo, che ormai si è imposta in tutto il suo monologo progressista; dall’altro quella dello spettacolo come quantità, minuti giocati, che sta portando la Uefa a creare competizioni su competizioni (pensiamo alla Nations League) pur di offrire un prodotto e vendere diritti. Ceferin non a caso ha parlato di vecchia regola che ormai andava «contro il suo scopo originale» poiché «dissuadeva le squadre di casa dall’attaccare in quanto temevano di subire gol». Eppure non ha pensato (o non ha detto) che così facendo le squadre in trasferta saranno ancora più arroccate in difesa, intenzionate prima di tutto a non subire: un assist ai difensivisti incalliti come il Cholo Simeone, pronto a piazzare bus sulle linee di porta di mezza Europa per poi strappare il solito 1-0 tra le mura amiche. In ogni caso, comunque la si pensi, questa riforma segna una vera e propria rivoluzione per la Uefa: nulla sarà più come prima e chissà quante storie, senza gol fuori casa, sarebbero andate diversamente.
Mondonico, la sedia e quello 0-0 all’Ajax E il pari in semifinale nel derby di Milano