Italia di uomini duri e poi... c’è Pollicino
Lesione al tendine d’Achille per Spinazzola consolato da Cristante Chiellini e Bonucci sono ovunque: Lukaku spolpato Insigne libero di esprimersi contro i torpidi belgi Le sfuriate di Barella e Chiesa zittiscono De Bruyne
Il pieno di emozioni. Cristante che consola Spinazzola a terra in lacrime. La barella si porta via i suoi singhiozzi. Tra i tanti a dolersene, un portoghese da ieri sera a Trigoria. Lesione al tendine d’Achille. L’immagine più triste e più bella in fondo a una giornata esagerata dove tutto emotivamente ci assedia e nulla ci è stato risparmiato, le apparizioni sul cielo di Roma, Dan l’Aviatore che consegna ai tifosi della Lupa Josè il Salvatore, le battaglie sull’erba di Wimbledon, le fughe folli al Tour, i rigori crudeli a San Pietroburgo. Ci mancava solo l’ottovolante dell’Allianz Arena, in una Monaco alla fine propizia perché l’azzurro eccede il rosso prima sulle tribune e poi in campo. La partita che doveva spedirci in semifinale nello stadio mito di Wembley. E semifinale sarà. Un supplemento di sbornia, la patria all’occhiello, ingolositi per di più dall’aver appena visto all’opera una Spagna carina ma sciocchina, per quanto futile e irrilevante al dunque, che nel calcio è sempre l’atto brutale anche quando sublime del gol.
Ci si genuflette tutti all’inizio, non tutti sanno bene perché ma, al di là dell’atto simbolico, ognuno recita in quei cinque secondi la propria preghiera privata. Facile indovinare quale. Non c’è tregua. Un quarto d’ora e si parte subito con l’uno-due tipico di quell’aberrazione chiamata Var, il gol patacca, l’ascensore dal paradiso al patibolo. Ci metti poco a sapere quello che già sai. Nella porta che ti sta a cuore galleggia il più forte portiere del mondo, un calamaro gigante non si sa da quale fondale pescato. Buon per noi. A proposito di giganti. Chiellini ha scavato con il suo leggendario naso a forma di becco una cuccia nell’enorme sagoma di Lukaku. Che per trovare un attimo di pace deve farsi dare la palla del rigore, dove il livornese non è ammesso da regolamento. Per il resto, Chiellini se lo spolpa con meticolosa ferocia come fanno i Dobermann con un osso generoso piovuto dal cielo.
Ci metti poco anche a trovare conferma di un’altra ovvietà, noi siamo una squadra, buona, compatta, solidale, senza grandi stelle, ma con un’anima forte. Loro una somma di buoni e grandi calciatori, per di più lunatici oltre che flemmatici. Anima zero. Furie molto rosse e poco furie. Le furie e le sfuriate sono quelle di Barella e di Chiesa che, quando partono, fanno ballare la rumba a De Bruyne e compari. L’unico a farci neri per tutti i novanta minuti è il ragazzino, nemmeno vent’anni, Doku, troppo imberbe però per prendersi la parte da protagonista in una locandina di tanto prestigio. C’è qualche patema e qualche impresa di troppo di Donnarumma. Ci pensa l’uomo chiamato Barella. S’inventa un gran gol il samurai di Sestu, cresciuto nella scuola calcio “Gigi Riva”, tanto per dire.
Pollicino Insigne ritrova la strada di casa, la mattonella giusta, libero di fare quello che vuole con quei plantigradi del Belgio, lenti di piede, torpidi di testa. Gol di rara bellezza e semifinale con la Spagna, risultato già notevole di suo che aiuta a ritrovare, insieme a tante altre cose, il gusto antico della vita, delle felicità innocenti, del patriottismo ondivago, e per cui vale la pena di sopportare tutto, persino le impennate cavernicole di Caressa (nessuno gli spiega che anche il rumore pubblico deve obbedire a un’estetica oltre che alla salute dei timpani?).
Noi siamo per il resto, pandemia o meno, quelli di sempre. La Nazionale dei duri, che quando il gioco si fa duro, cade in una specie di trance maniaca di gruppo. Gentile e Tardelli in Spagna, Cannavaro e Materazzi in Germania, Chiellini e Bonucci ovunque. Due vecchie pellacce che hanno imparato ad andare oltre ogni limite.
Mancini, gongola da par suo, esulta dentro, una piccola increspatura del volto ti fa capire quanto è pazzo di gioia. Più liberi di esultare tutti gli altri, più che mai l’amico fraterno Gianluca e tutti, lui per primo, sappiamo perché. Per niente libero di esultare invece Martinez. L’uomo che ha considerato il miglior Nainggolan di sempre un giocatore superfluo per la sua Nazionale di mollaccioni. Il sopracciglio ridondante del ct belga trema per lo sdegno della lesa maestà alla fine ma, visto da qui, il suo Belgio ha fatto fin troppa strada. Tanto talento e zero tituli direbbe un amico nostro che in queste ore se la spassa a Trigoria. Una generazione che, nel frattempo, è invecchiata portando a casa solo qualche medaglia di latta. Uno spreco immane.
La cosa più bella? Avremo ancora chissà per quanti giorni il bellissimo diario di bordo di Pessina e l’ottimo Sirigu, capitano da spogliatoio, dovrà inventarsi altri ispirati discorsi motivazionali per i suoi arrembanti compagni. La storia, infatti, continua.