Corriere dello Sport

Il sogno danese contro Schick

A Baku un quarto di finale apertissim­o tra due grandi rivelazion­i degli Europei Il ct Hjulmand: «Giocheremo tutti uniti per Eriksen» L’attaccante ceko: «Non conto io, ma la squadra»

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di Giorgio Burreddu

Kasper Hjulmand non ha niente di profetico, i suoi gesti sono semplici, sembrano telecomand­ati. Ma gli occhi sono così profondi e liquidi che davvero dentro ci si può specchiare tutta la Danimarca. «Non è possibile guardarsi in giro e non essere motivati. Sono tutti uniti, tutti compatti. Giochiamo, e lo facciamo per il bene di tutto il Paese. Abbiamo due sogni. Vogliamo vincere qualcosa e contribuir­e a ispirare ed emozionare le persone». Per questo quarto di finale contro la Repubblica Ceca i danesi hanno scomodato i miti e le leggende, i racconti di quella volta che arrivarono in finale e vinsero. Era il 1992. E dunque non c’è solo il nome di Eriksen a motivare la gente danese, questa nazionale è spinta da qualcosa in più, di più grande, di irrazional­e. «Possiamo sentire l'energia da tutta la Danimarca, i giovani e i vecchi, tutti, e ci fornisce le motivazion­e. Abbiamo un'enorme fame interiore. Tutta la squadra ce l’ha».

DESTINI. Però a Baku ci saranno 36 gradi e dall’altra parte una Repubblica Ceca che non solo ha stupito eliminando l’Olanda agli ottavi, ma ha suonato il campanello d’allarme per tutti: signori, l’Europeo nessuno lo può vincere col ranking. C’è semmai il destino, è con quello che bisogna fare i conti. Jaroslav Silhavy nel 2004 era assistente del ct Bruckner, l’anno in cui i cechi arrivarono in semifinale battendo proprio i danesi. «Il ricordo del 2004 è vivo in tutti noi, ma non sarà una motivazion­e extra per vincere. E’ una situazione differente, è una partita importanti­ssima: le motivazion­i le troviamo da soli, sono alte a prescinder­e senza bisogno di ricordare quella vittoria. Noi e la Danimarca abbiamo uno stile di gioco simile: entrambe siamo forti come squadra, ancor più che dal punto di vista individual­e». Silhavy spiega che i suoi avranno bisogno di «giocare bene come collettivo, proprio come contro l’Olanda». A proposito di destino, con il suo i conti li sta facendo Patrick Schick. All'inizio della carriera fu ragazzo prodigio, talento purissimo, poi la Serie A era stata capace di ritrasform­arlo troppo in fretta in giocatore senza consistenz­a. Oggi Schick guarda al suo connaziona­le Milan Baros, che nel 2004 trascinò con cinque gol la Repubblica Ceca alla semifinale contro la Grecia (poi divenuta campione). Schick è fermo a quattro. «La scarpa d’oro non è una cosa prioritari­a - dice lui quello che conta maggiormen­te è il successo della squadra».

SOGNI. E’ la terza volta che Repubblica Ceca e Danimarca si incontrano agli Europei. I cechi hanno vinto tutte e due le sfide precedenti (nel 2000 e nel 2004). Ma qui il passato è solo una narrazione buona per caricare la gente. La storia si fa oggi. «Per noi è importante giocare senza paura. Lo diceva anche uno dei miei più grandi idoli, Johan Cryuff», va avanti il ct danese Hjulmand. Parla di libertà («I giocatori devono avere la liberà di esprimersi»), di velocità, di tecnica. «Dobbiamo giocare velocement­e e difendere velocement­e. Lo facciamo per i danesi, che hanno dato un enorme sostegno». Un mantra che ripete anche Simon Kjaer: «Tutto il supporto ricevuto dentro e fuori dal campo è stato inimmagina­bile, è andato oltre ogni sogno. Sarà difficile rivivere qualcosa di simile in una fase successiva della mia carriera. È stato fantastico. Ma questo non significa che non abbiamo più fame: lo vedrete in campo. Giocheremo con lo stesso atteggiame­nto di sempre». E ovviamente anche Kasper Schmeichel, che da bambino guardava il suo papà Peter diventare superman. «Questo momento è tutto quel che sognavo da piccolo. Ma l’emozione sarà ancora più grande se vinciamo e andiamo in semifinale. Speriamo di poter dare qualcosa ai tifosi che sono venuti fino a qua per la partita».

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