Dalla trincea al consenso
Qualità e equilibrio: il ct ha inseguito con tenacia un’idea di gioco personale illuminando l’azzurro
In poco più di tre anni ha capovolto la Nazionale, che aveva toccato il fondo con la gestione firmata da Tavecchio e Ventura. Non si era qualificata per il mondiale russo e si era allontanata dalla gente, che non si presentava neanche più negli stadi dove giocavano gli azzurri.
Chissà come se la gode, da qualche parte lassù, nel valhalla del calcio, lo zio Vuja, guardando l’autostrada azzurra costruita in tre anni a colpi di record dal suo figlioccio prediletto, Roberto Mancini, tracciata dove gli altri vedevano neppure l’ombra di un sentiero. «Con Barella-Jorginho-Verratti non si può arrivare davvero in alto», il nocciolo delle contestazioni rimaste a mezza bocca per via delle vittorie interminabili della sua Nazionale, ma sussurrate partendo dalla taglia dei tre centrocampisti titolari, scelti dal Mancio, giusto dopo l’ultima sconfitta patita dalla sua Nazionale, settembre 2018 e confermati fino al trionfo sul Belgio a Monaco. In fondo questo cortocircuito è quello che ha prodotto l’eresia manciniana, da quando lui ha voluto fortemente diventare ct, anche per riscattare una carriera risibile con l’Italia, rispetto a quanto ottenuto con i club. Ridurre tutto a tre nomi non sarebbe corretto, ovviamente, data la mole di lavoro di selezione, di inclusione, messo in atto nel frattempo dal ct. Ma sul piano tecnico in quel trio c’è un mondo: il suo.
VISIONI. Mancini, il grande visionario. Potrebbe essere questo il titolo di un’opera sui suoi primi tre anni di magnifico magistero, con la sua creatura adesso entrata di prepotenza in zona medaglie europee, dopo essersi già assicurata la Final Four di Nations League, in programma a Milano-Torino, a ottobre. Ci saranno la Spagna, di nuovo contro di noi e Belgio-Francia. Insomma, una cosa seria. Ricordando che la prima NL è stata vinta dal Portogallo campione d’Europa. Sembra una divagazione ma non lo è. Tutto si tiene, oltre a questa sensazione “finale” che ci mancava oramai da quasi un decennio. Dovrebbe far riflettere con ponderazione il fatto che adesso come allora con Prandelli, l’Italia arrivò all’ultimo atto dell’Europeo seguendo il filo del gioco, della qualità, dell’equlibrio, in quel caso addirittura riuscendo quasi ad “addomesticare” i due talenti più irregolari del nostro calcio recente, Balotelli e Cassano. Vero che nel 2012 mancò la consacrazione, contro la Spagna campione del mondo, in quel momento realmente la più forte di tutte. Eppure furono altri i motivi per cui quel patrimonio si disperse negli anni a venire. Un pericolo che secondo noi Mancini non corre. Lo diciamo adesso con gli azzurri in semifinale, risultato che alla vigilia pareva un ottimo obiettivo e ora pare semplicemente approdo naturale della migliore squadra del torneo, a detta di tutti. Aveva ragione il Mancio a ripetere che «questa squadra non ha limiti».
CHE NUMERI. Dice che il calcio non si fa con i numeri. Eppure vive e si eterna di cifre. Intanto questa Italia ha stabilito la striscia più lunga di successi di fila tra qualificazioni e fase finale degli Europei: 15, superando proprio il Belgio. Arrivando a 32 partite utili consecutive, seconda nella storia in Europa, solo alla grande Spagna del decennio scorso. La visione di Mancini, che ha generato questo cammino, è stata sempre quella di credere fermamente nel suo gruppo, meglio, nella qualità del suo gruppo. Che è maturato con lui, prima ancora di consacrarsi in proprio. Prendete Jorginho, subito messo al centro del progetto prima dell’esplosione inglese che ne ha fatto ora un potenziale candidato al Pallone d’oro. Oppure Barella, accolto inizialmente con qualche riserva da Conte all’Inter e adesso un interno da quotazioni internazionali. Vero, se hai la fortuna di poter contare ancora su questo Chiellini, in coppia poi
Trentadue partite utili consecutive: meglio solo la Spagna nel decennio scorso
con Bonucci; se incroci la crescita di talenti cristallini come Donnarumma; se puoi scegliere tra tanti ottimi centrocampisti come da generazioni non accadeva; se riesci perfino a convincere Insigne a correre pure all’indietro, davvero puoi guardare avanti con consapevolezza. Anche se ti trovi in mezzo a una crisi di sistema drammatica, acuita dalla pandemia, e il tuo serbatoio ormai si limita a meno del 40% di azzurrabili in serie A. Nel mondo azzurro di Mancini sembra esserci spazio solo per orizzonti sereni. La bella inquadratura di lui, circondato dalla squadra stravolta dalla felicità per il successo sul Belgio, che incita i suoi con indice e medio a V, non tanto in segno di vittoria, ma per indicare che mancano ancora due partite al trionfo, è appunto l’immagine di chi non ha in mente solo un risultato ma una visione. Ci fosse ancora Boskov...