Corriere dello Sport

Dalla trincea al consenso

Qualità e equilibrio: il ct ha inseguito con tenacia un’idea di gioco personale illuminand­o l’azzurro

- Di Alberto Dalla Palma

In poco più di tre anni ha capovolto la Nazionale, che aveva toccato il fondo con la gestione firmata da Tavecchio e Ventura. Non si era qualificat­a per il mondiale russo e si era allontanat­a dalla gente, che non si presentava neanche più negli stadi dove giocavano gli azzurri.

Chissà come se la gode, da qualche parte lassù, nel valhalla del calcio, lo zio Vuja, guardando l’autostrada azzurra costruita in tre anni a colpi di record dal suo figlioccio prediletto, Roberto Mancini, tracciata dove gli altri vedevano neppure l’ombra di un sentiero. «Con Barella-Jorginho-Verratti non si può arrivare davvero in alto», il nocciolo delle contestazi­oni rimaste a mezza bocca per via delle vittorie interminab­ili della sua Nazionale, ma sussurrate partendo dalla taglia dei tre centrocamp­isti titolari, scelti dal Mancio, giusto dopo l’ultima sconfitta patita dalla sua Nazionale, settembre 2018 e confermati fino al trionfo sul Belgio a Monaco. In fondo questo cortocircu­ito è quello che ha prodotto l’eresia manciniana, da quando lui ha voluto fortemente diventare ct, anche per riscattare una carriera risibile con l’Italia, rispetto a quanto ottenuto con i club. Ridurre tutto a tre nomi non sarebbe corretto, ovviamente, data la mole di lavoro di selezione, di inclusione, messo in atto nel frattempo dal ct. Ma sul piano tecnico in quel trio c’è un mondo: il suo.

VISIONI. Mancini, il grande visionario. Potrebbe essere questo il titolo di un’opera sui suoi primi tre anni di magnifico magistero, con la sua creatura adesso entrata di prepotenza in zona medaglie europee, dopo essersi già assicurata la Final Four di Nations League, in programma a Milano-Torino, a ottobre. Ci saranno la Spagna, di nuovo contro di noi e Belgio-Francia. Insomma, una cosa seria. Ricordando che la prima NL è stata vinta dal Portogallo campione d’Europa. Sembra una divagazion­e ma non lo è. Tutto si tiene, oltre a questa sensazione “finale” che ci mancava oramai da quasi un decennio. Dovrebbe far riflettere con ponderazio­ne il fatto che adesso come allora con Prandelli, l’Italia arrivò all’ultimo atto dell’Europeo seguendo il filo del gioco, della qualità, dell’equlibrio, in quel caso addirittur­a riuscendo quasi ad “addomestic­are” i due talenti più irregolari del nostro calcio recente, Balotelli e Cassano. Vero che nel 2012 mancò la consacrazi­one, contro la Spagna campione del mondo, in quel momento realmente la più forte di tutte. Eppure furono altri i motivi per cui quel patrimonio si disperse negli anni a venire. Un pericolo che secondo noi Mancini non corre. Lo diciamo adesso con gli azzurri in semifinale, risultato che alla vigilia pareva un ottimo obiettivo e ora pare sempliceme­nte approdo naturale della migliore squadra del torneo, a detta di tutti. Aveva ragione il Mancio a ripetere che «questa squadra non ha limiti».

CHE NUMERI. Dice che il calcio non si fa con i numeri. Eppure vive e si eterna di cifre. Intanto questa Italia ha stabilito la striscia più lunga di successi di fila tra qualificaz­ioni e fase finale degli Europei: 15, superando proprio il Belgio. Arrivando a 32 partite utili consecutiv­e, seconda nella storia in Europa, solo alla grande Spagna del decennio scorso. La visione di Mancini, che ha generato questo cammino, è stata sempre quella di credere fermamente nel suo gruppo, meglio, nella qualità del suo gruppo. Che è maturato con lui, prima ancora di consacrars­i in proprio. Prendete Jorginho, subito messo al centro del progetto prima dell’esplosione inglese che ne ha fatto ora un potenziale candidato al Pallone d’oro. Oppure Barella, accolto inizialmen­te con qualche riserva da Conte all’Inter e adesso un interno da quotazioni internazio­nali. Vero, se hai la fortuna di poter contare ancora su questo Chiellini, in coppia poi

Trentadue partite utili consecutiv­e: meglio solo la Spagna nel decennio scorso

con Bonucci; se incroci la crescita di talenti cristallin­i come Donnarumma; se puoi scegliere tra tanti ottimi centrocamp­isti come da generazion­i non accadeva; se riesci perfino a convincere Insigne a correre pure all’indietro, davvero puoi guardare avanti con consapevol­ezza. Anche se ti trovi in mezzo a una crisi di sistema drammatica, acuita dalla pandemia, e il tuo serbatoio ormai si limita a meno del 40% di azzurrabil­i in serie A. Nel mondo azzurro di Mancini sembra esserci spazio solo per orizzonti sereni. La bella inquadratu­ra di lui, circondato dalla squadra stravolta dalla felicità per il successo sul Belgio, che incita i suoi con indice e medio a V, non tanto in segno di vittoria, ma per indicare che mancano ancora due partite al trionfo, è appunto l’immagine di chi non ha in mente solo un risultato ma una visione. Ci fosse ancora Boskov...

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Il plauso francese L’Equipe celebra il trionfo della nazionale con il titolo “La lezione d’italiano”
Roberto Mancini tiene a rapporto gli azzurri: mancano ancora due partite al sogno Il plauso francese L’Equipe celebra il trionfo della nazionale con il titolo “La lezione d’italiano”
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