Donnarumma chiude a chiave la porta d’ingresso
I trionfi azzurri si sono fondati sempre su grandi protagonisti tra i pali: Gigio come Zoff e Buffon
Abbiamo il portiere più forte del mondo. Lo diciamo così. Secco, preciso, senza il benché minimo dubbio. Ne sa qualcosa Kevin De Bruyne che l'altra sera, quando Belgio-Italia era ancora sullo 0-0, aveva mirato il suo sinistro sul palo lontano laddove nove portieri su dieci non sarebbero arrivati. Il decimo, per fortuna, ce l'abbiamo noi. Donnarumma sapeva benissimo dove De Bruyne avrebbe tirato. Non è solo questione di dono di natura. È studio e conoscenza dell'avversario. È capacità di capire con un nanosecondo d'anticipo dove finirà il pallone. Oltre, poi, alla forza esplosiva nelle gambe. Come in uno di quei cartoni animati giapponesi anni Ottanta, Donnarumma si è allungato con l'apertura alare di un albatros e ci ha messo la manona. Lì i belgi hanno capito che sarebbe stata dura. Dall'altra parte, un grande portiere come Courtois non ha avuto la stessa prontezza e la stessa complessità di preparazione sullo splendido tiro di Insigne.
Avere Donnarumma fa la differenza. Gianluigi da Castellammare di Stabia. Ha esordito in Serie A a 16 anni. Fu Sinisa Mihajlovic a spedirlo tra i pali. Oggi ne ha 22 e 215 presenze in Serie A. Tutte con la maglia del Milan. Squadra che ha salutato un mese fa, non senza feroci polemiche, dopo aver contribuito in maniera determinante al ritorno in Champions. Quella Champions che Donnarumma non ha mai giocato. Nemmeno una presenza.
Donnarumma è un testimonial contro i luoghi comuni. Li azzera, li ridicolizza, se li mangia a colazione. Ha smontato, uno dopo l'altro, i teoremi sugli italiani bamboccioni (o choosy per dirla alla Fornero, troppo schizzinosi quando si parla di mercato del lavoro), sui giovani che non sono in grado di assumersi le responsabilità, sui ragazzi del Sud troppo mammoni. Ne avete altri? Ah sì il soprannome. Donnarumma ha invertito persino la narrazione su Gigio che da noi è sempre stato il nome di un topo piccolino, tenerone, romantico. Mai avremmo immaginato di associarlo a un portiere di oltre due metri che non ha paura di niente.
Né degli avversari. Né delle polemiche. Donnarumma il mercato del lavoro lo sfida. Lo conquista. Non ne ha soggezione. Del resto ha avviato un sodalizio con il cattivo per definizione: Mino Raiola uno che di fronte ai buoni sentimenti nel calcio si fa una crassa risata. A 18 anni, ai tempi della prima trattativa con il Milan, tifosi rossoneri lanciarono dollari falsi dietro la porta della Nazionale Under 21. Nacque Dollarumma. Finì con un contratto di sei milioni netti a stagione, più uno per il fratello. E quattro anni dopo, ha salutato il Milan
perché riteneva inadeguato l'aumento fino a otto, e perché voleva confrontarsi con un calcio di categoria superiore. Qui l'hanno presa male. In Italia l'ambizione ha sempre una connotazione negativa. In pochissimo tempo si è accasato al Psg: dodici milioni netti a stagione. Come spiegano gli economisti, resta un dato: il mercato non mente mai. Per Donnarumma l'incontro tra domanda e offerta avviene in alto, molto in alto sul grafico.
Perché Donnarumma è il portiere più forte del mondo. Gli Europei lo stanno confermando. Con la scuola spagnola leggermente in crisi, quella tedesca che non ha il coraggio di dare a Ter Stegen quel che è di Neuer. Con il francese Lloris che non può essere eterno. Mentre noi esibiamo l'albatros che dice di no a De Bruyne come all'austriaco Gregoritsch. Di Courtois abbiamo detto. Ci sarebbe lo sloveno Oblak dell'Atletico Madrid. Ma oggi nemmeno lui vale Gigio.
C'è un ultimo aspetto. Quando l'Italia ha vinto qualcosa di importante, ha sempre avuto tra i pali un grandissimo portiere. Zoff all'Europeo 68 e al Mundial 82, Buffon nel 2006. Sì, fateli pure gli scongiuri, siete autorizzati.
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