Corriere dello Sport

Danimarca-mania 1992 Kjaer: «Io sogno ancora»

Tifosi impazziti, una città intitolata a Maehle, festa davanti all’hotel della Nazionale. Biglietti, è polemica

- Di Giorgio Burreddu

Per capire quello che sta succedendo in Danimarca si può andare a Østervrå, mille abitanti, lì dove Joakim Maehle giocò da bambino. All’ingresso della cittadina hanno sostituto il cartello di benvenuto con la scritta “Maehlesby”, in pratica gli hanno intitolato il posto. Oppure si può andare fino a Elsinore, dove ieri la squadra è arrivata alle 17, c’era gente dappertutt­o, con le bandiere, le sciarpe, i cartelli, le maglie. Ali di folla per accompagna­re la squadra fino all’hotel, che ovviamente era rivestito con le bandiere. L’hanno chiamata follia, delirio collettivo, per le strade della Danimarca la festa è andata avanti con i caroselli e adesso sembra non debba finire mai. Ma la vittoria contro la Repubblica Ceca ha solo riacceso il ricordo della gloria: quello di 29 anni fa, quando la nazionale arrivò dal nulla a giocarsi la finale dell’Europeo, e la vinse.

TIFO. Dietro questa Danimarca c’è l’unione. E dopo il malore di Eriksen tutto si è cementific­ato. Lo ha detto Kasper Hjulmand, il ct. «I ragazzi sanno di poter contare su di lui. L'unità è forte, è la grande forza. Non è stata creata dalla situazione di

Christian, era lì prima, ma quando il tempo contro la Finlandia si è fermato, quando eravamo molto vulnerabil­i, quando abbiamo visto che la vita è fragile, ci siamo uniti di più. L’amore del popolo danese ci ha aiutato». Hjulmand ha poi parlato di tifo. 60mila persone a Wembley, ma quanti danesi? «Siamo contenti che ci siano i tifosi - ha detto il ct -, ma ci sarebbe piaciuto avere metà stadio coi nostri colori. Se fosse consentito, i danesi si riversereb­bero in Inghilterr­a. La motivazion­e per noi sarà far tacere gli spettatori. I ragazzi sono pronti, sono abituati alle grandi battaglie». Perché un problema biglietti c’è. La Uefa deve attenersi alle disposizio­ni locali, e in Inghilterr­a al momento sono rigide. La Federcalci­o danese ha aperto la vendita di 5.000 biglietti, ma valgono solo per i residenti in Inghilterr­a e Scozia. In 2.000 hanno già fatto richiesta.

FIGLI. Nel ’92 c’era anche Peter Schmeichel, il papà di Kasper. «Fummo richiamati dalle vacanze. Non eravamo pronti a quell'avventura che avrebbe cambiato la nostra vita e le nostra carriere». Il sogno danese è davvero qualcosa che si sta tramandand­o tra generazion­i, di padre in figlio, come per gli Schmeichel. E ora tocca ai quei figli di Danimarca. A cominciare da capitan Kjaer: «Nemmeno nei miei sogni avrei potuto immaginare il supporto che abbiamo avuto in questo Europeo, dentro e fuori dal campo. Noi giocatori ce lo godiamo». Prima della partita contro i cechi il ct aveva mostrato un’immagine di Wembley: «E’ qui che dobbiamo tornare», aveva detto. Una profezia che si è avverata anche grazie al suo maglione nero portafortu­na, quello con il buco, che a Baku - nonostante i 30 gradi - ha indossato nel secondo tempo. Lo userà anche a Wembley.

Il ct Hjulmand: «Già uniti, ma il malore di Eriksen ci ha fatto capire cosa è la vita»

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