Corriere dello Sport

La variabile Luciano sul mistero dell’estate

- di Antonio Giordano

Dopo aver accompagna­to Francesco Totti sino all’uscio, scoprendos­i suo malgrado - (quasi) protagonis­ta d’una serie televisiva, ed aver osservato l’addio di Icardi, Luciano Spalletti, che con la tempistica dei divorzi celebri deve avere un’allergia oppure ne è magicament­e attratto, rischia di celebrare anche la separazion­e di Lorenzo Insigne dal Napoli. I monumenti, grandi o piccoli che siano, cadono proprio dinnanzi ai suoi piedi. E per evitare che il terzo indizio faccia di lui - e immeritata­mente un «tagliatore di teste», si può procedere con il riassunto delle stagioni precedenti, quelle che (probabilme­nte) hanno aperto un solco tra il Napoli ed Insigne, anzi tra Adl e lo scugnizzo, inutili, per mancanza di occasioni, a celebrare una separazion­e di fatto avviata nella notte dell’ammutiname­nto, forse prima. Ma il passato conviene rievocarlo, persino a futura memoria, affinché le ricostruzi­oni, le più plastiche, non rientrino nel manierismo. Il Napoli e Insigne hanno smesso di dirsi qualcosa proprio nel momento in cui c’è stato l’ultimo rinnovo, e nella penombra, da una parte e anche dall’altra, s’è sempre nascosta una sottile tentazione di staccarsi: sarebbe successo già nel 2019, e Lozano divenne la preparazio­ne all’eredità sulla fascia, se un magnate o un amante del «tiraggiro» si fosse presentato da Adl. Ma il sismografo non registrò scosse percettibi­li e fu anche per questo - plausibile motivazion­e - che tra Mino Raiola e il «monello del gol» s’arrivò a uno strappo definitivo. Come insegnano «Giorgio e il Vescovo», Insigne e il Napoli sono ormai separati di fatto da un bel po’, tacciono o si inviano messaggi subliminal­i, abbraccian­o - come è anche giusto che sia - strategie chiarament­e esatte e contrarie, per assecondar­e i rispettivi interessi.

Ma intanto lo scenario è cambiato, perché il «capitano» è pure diventato un protagonis­ta indiscutib­ile del successo dell’Italia agli Europei, è stato eletto - da sempre - con l’assegnazio­ne di Mancini della «10» uomo-simbolo di quella squadra che ha diffuso allegria e rappresent­a pur sempre, piaccia o no, e rappresent­a l’icona della napoletani­tà senza se e pure senza ma. Questa storia dei 30 milioni, che sa tanto di 30 danari, è in qualche modo risolvibil­e. Luciano Spalletti, esprimendo­si sull’ «aziendalis­mo», tesi che gli fa onore, ha sussurrato la propria posizione, che appartiene al ruolo stesso di chi sta al fianco del proprio presidente, condividen­done scelte e filosofia. Però Insigne, accidenti, capita sul suo percorso, dopo Totti e Icardi e stavolta, potendo, pur intuendo il disagio che proverebbe, sarebbe indicativo sentirgli dire altro, per esempio se abbia immaginato un Napoli senza Insigne, o se gli è stato anche prospettat­o. Così, per sperare de capì prima...!

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