Onda rosa alle Olimpiadi Mai così tante donne
Su 11.000 atleti, la partecipazione femminile vicina al 49% (5 anni fa era al 45%). Nella spedizione olimpica azzurra ci sono 197 uomini e 187 ragazze
Quando nel giugno del 1894 alla Sorbona di Parigi il barone Pierre de Coubertin reinventò l’Olimpiade, assegnando ad Atene i primi Giochi dell’era moderna nel 1896, le donne furono escluse perché «poco competitive» e prive di «forza fisica adeguata».
Dopo 125 anni, e un colpevole ritardo, a Tokyo sarà di fatto raggiunta la piena parità di genere. E probabilmente sarà anche la prima Olimpiade a trazione femminile.
IN ROSA. Su un totale di 11.000 atleti impegnati in 33 sport e 50 discipline (erano 26 e 42 a Rio 2016), la partecipazione rosa sfiora il 49% (cinque anni fa era al 45%). In linea con la quasi perfetta rappresentanza della spedizione italiana: 384 azzurri di cui 197 uomini e 187 donne, con le atlete a quota 48,7%. Senza la qualificazione in extremis del basket (12 giocatori), avremmo assistito a un clamoroso sorpasso.
Un secolo dopo l’ultima partecipazione azzurra di soli uomini (Anversa 1920), mai l’Italia olimpica era stata così rosa. E per la prima volta da un secolo nella boxe, assenti i maschi, sul ring avremo solo guantoni rosa con le veterane Carini e Testa e le baby Sorrentino e Nicoli. Di fatto il sorpasso per l’Italia ci sarà alla Paralimpiade (22 agosto-5 settembre) con 61 donne convocate su 113 atleti.
ONDA. A livello internazionale l’impennata di quote rosa a Tokyo è stata già sancita da alcune superpotenze sportive come gli Stati Uniti, che tra i 613 olimpici annovera 329 donne. Seguono a ruota Australia e Gran Bretagna.
Se in Giappone assisteremo a una quasi perfetta uguaglianza di genere, lo si deve anche all’introduzione di nuovi eventi. Sono 18 le gare miste con la new entry della 4x400 mista dell’atletica. E’ il risultato della piena applicazione dell’Agenda 2020 voluta dal presidente del Cio, Thomas Bach, fin dai primi giorni del suo insediamento nel 2013. Parità di genere raggiunta rivoluzionando anche alcune funzioni istituzionali, dal giuramento che sarà letto da due atleti di sesso diverso, all’introduzione di due portabandiera (per l’Italia Jessica Rossi ed Elia Viviani).
DIRETTIVA. Il Cio ha avviato negli ultimi anni anche un graduale incremento del rosa tra i suoi membri, arrivando a quota 44,7%. Direttiva seguita dal Coni, che ha portato a cinque le donne in Giunta con le due vicepresidenti Silvia Salis e Claudia Giordani. Presenza femminile raddoppiata anche negli organismi dirigenziali delle 44 federazioni nazionali negli ultimi quattro anni, ma solo una presidente è donna (Antonella Granata allo Squash).
«Non basta - secondo la sottosegretaria e pluri-olimpionica della scherma, Valentina Vezzali -. Se è vero che nell’attività agonistica le donne sono più ambiziose e determinate, molto resta ancora da fare a livello dirigenziale».
PRIMA SVOLTA. La prima svolta rosa nel mondo olimpico arrivò negli anni 80 con Juan Antonio Samaranch, il marchese spagnolo che portò i Giochi nel futuro aprendo la strada al professionismo in un’era segnata dai boicottaggi politici (Mosca 1980 e Los Angeles 1984). Fu nel 1985 che anche a livello politico il parlamento europeo iniziò a prendere coscienza del problema con la Carta dei diritti della donna nello sport.
Erano anni in cui, sotto la pressione di gruppi americani che si battevano per la “gender equality” nello sport, l’allora presidente dell’atletica mondiale, Primo Nebiolo, fu citato in giudizio negli Usa perché alle atlete non era consentita la partecipazione in alcune discipline prettamente maschili.
Poi Los Angeles 1984 salutò la prima volta della maratona femminile ai Giochi. Solo 56 anni prima, all’Olimpiade di Amsterdam 1928, dopo l’arrivo drammatico degli 800 metri, in cui le atlete finirono stremate sulla pista, veniva decretata la cancellazione di questa distanza perché ritenuta “troppo faticosa”. La corsa sui due giri di pista tornò nel programma solo a Roma 1960.
I Giochi di Barcellona 1992, a casa di Samaranch, segnarono anche il primo oro di un’atleta musulmana, quello dell’algerina Hassiba Boulmerka, trionfante sui 1500 in pista a gambe scoperte prima di finire nel mirino del fondamentalismo islamico. Ma la questione araba alle Olimpiadi è ancora aperta, nonostante l’obbligo a schierare almeno una donna in squadra. Restano purtroppo poco più che simboliche e spesso relegate al folclore le partecipazioni rosa di alcuni Paesi del Golfo. Come la prima volta a Londra 2012 di due atlete del Qatar, in gara nel nuoto e nell’atletica, o come la presenza sul ring di Sadaf Rahimi, una ragazza afgana nella boxe, sport prettamente maschile, che proprio dieci anni fa aveva spalancato le porte all’altro sesso.
Tokyo sarà anche la prima volta di una transgender, con la partecipazione nel sollevamento pesi della neozelandese Laurel Hubbard. Tutto questo accadrà 121 anni dopo il primo oro al femminile vinto a Parigi 1900 della tennista britannica Charlotte Cooper (cinque trionfi a Wimbledon) che in campo rischiò la squalifica per essersi rifiutata di indossare guanti e cappello. Saranno passati 85 anni dal primo oro di una italiana conquistato a Berlino 1936 da Ondina Valla negli 80 ostacoli. E solo 73 anni da quando l’olandesina volante, madre di quattro figli, Fanny Blankers-Koen, centrò quattro ori nell’atletica a Londra 1948. La “mammina volante” per la sua impresa fu anche criticata, perché aveva trascurato i suoi doveri di madre per saltare e correre in pista.
La Vezzali: «Nella attività agonistica le donne sono più ambiziose»