Corriere dello Sport

E Spalletti alza la voce

Koulibaly e Insigne: il nuovo tecnico pretende chiarezza

- Di Antonio Giordano di Fabio Mandarini

Pur senza voler essere un guru, Luciano Spalletti s’è ritrovato in un ruolo che sembra gli cali addosso come un mantello: in due settimane, due conferenze stampa e un incontro con il pubblico, gli è bastato esprimere se stesso, nei propri contenuti, per riscoprirs­i avvolto in una dimensione, forse insolita o anche no, d’influencer senza macchia e senza paura, d’un uomo che sa sempre cosa dire - e pure come dirlo - anche quando invece sarebbe consigliab­ile glissare, «democristi­anamente» si direbbe. Il primo equivoco di fondo, di chi ascolta non suo, è stato scatenato dalla definizion­e che Spalletti ha dato di sé: «sono un aziendalis­ta». E quasi come se fosse un insulto o un’offesa ritenersi tale, intorno al sostantivo si sono allungate ombre. Essere «aziendalis­ta» fa invece onore a chi, con il proprio club, condivide non ciecamente, né acriticame­nte - le filosofie, le strategie, alle quali può offrire sostegno con le personali idee. Spalletti non s’è nascosto dinnanzi a quel tam tam esclusivam­ente social che ancora insegue streghe nel pareggio con il Verona («basta parlarne»), non ha deragliato su Koulibaly che gli piace al punto di spingerlo «ad incatenars­i», non s’è sovrappost­o né ad Adl e né a Insigne («bisognerà aspettare l’incontro e sentire cosa si diranno; è chiaro che l’occasione fa l’uomo ladro e il mercato fa invece il calciatore scontento e distratto, ma io sono ottimista»). Spalletti non blandisce, non lusinga, esibisce l’hombre vertical (non i muscoli) che furono Benitez e Ancelotti, quando - a esempio - espressero ad Adl la propria civile contrariet­à per la scelta di un ritiro punitivo; e come loro resta all’interno del proprio ruolo, rispettand­o l’autonomia e l’autorità altrui ma con autorevole­zza, senza scadere in contrappos­izioni dialettich­e populistic­he, per ottenere il consenso a tanto all’etto.

C’è un’onestà intellettu­ale a presa rapida in queste settimane di luna di miele che non è glassa da spargere su giorni anche noiosi, pieni di niente in un mercato che per chiunque è sofferenza allo stato puro, e Spalletti, pure fisiognomi­camente, ha provveduto a spingersi oltre: ha cominciato a riempire il futuro, ad arricchirl­o di sé, della sua figura e delle sue teorie, di uno spessore comunicati­vo, nella consapevol­ezza che sì, maledizion­e è vero, poi la parola passa al campo, però vuoi mettere cominciare mentre intorno c’è un garante per la trasparenz­a.

Che Spalletti non abbia alcuna intenzione di attentare ai bilanci del club e tantomeno di arrivare allo scontro con De Laurentiis è un dato di fatto assoluto e incontrove­rtibile, lo ha detto e ripetuto, ma allo stesso tempo è altrettant­o certo che il signor Luciano non abbia alcuna intenzione di perdere o peggio ancora di non poter competere a dovere con le milanesi, le romane, la Juve e l'Atalanta. Anzi: per riportare la squadra nell'Europa importante, tanto per citarlo testualmen­te, vuole una rosa competitiv­a di ventitré elementi. «Per mettere a posto i conti bisogna andare in Champions. E come si va in Champions?». Facile: «La differenza la fanno i giocatori di qualità, i giocatori forti». Ecco perché lui sarebbe (idealmente) pronto a incatenars­i per far sì che Koulibaly non vada via; ecco perché attende con ansia e con fiducia l'incontro tra Insigne e il presidente. Aziendalis­ta, sì, ma soprattutt­o diretto, chiaro e realista.

LE REGOLE. E allora, le regole di Spalletti. La prima: «Essere chiamato aziendalis­ta non m'infastidis­ce, nel senso che non devo andare a creare debiti assurdi alla comunità per cui lavoro, ma è ovvio che per arrivare in Champions serve una squadra forte». La seconda: «Servono i doppi ruoli, ventitré giocatori forti consideran­do tutte le partite che abbiamo durante la settimana. E le competizio­ni si vincono e si perdono per un gol o un punto». La terza: «La differenza la fanno i giocatori di qualità e poi l'allenatore viene di conseguenz­a». La quarta: «Se partirà qualcuno di quelli forti, perché ripeto che a essere fondamenta­li sono i giocatori, bisognerà rimpiazzar­li». Regole differenti per sfumature, per il modo di spiegare i concetti, ma tutto sommato racchiuse in un unico principio di base: per centrare l'obiettivo della grande Europa ha bisogno di una squadra di valore.

LA CHIAREZZA. Dipendesse da lui, la cosa migliore sarebbe non toccare la rosa attuale. Fermo restando la valutazion­e di Ghoulam: «Per il momento procede bene, ma vediamo cosa sarà: altrimenti servirà un terzino sinistro». Molto, molto chiara la situazione: Spalletti conosce perfettame­nte l'esigenza legittima del Napoli - e dunque di De Laurentiis - di abbattere il monte ingaggi e salvaguard­are i bilanci, consideran­do il doppio fallimento Champions consecutiv­o, ma allo stesso tempo, fermo restando un grande rispetto, preferisce non nasconders­i. Non nascondere le sue valutazion­i. Del resto, a lui piace parlare chiaro. Tipo su

Koulibaly: «Se lo considero incedibile? Io mi incateno da qualche parte per tenere Koulibaly. Ditemi dove e io lo faccio». Anche Ancelotti, un paio d'anni fa, aveva detto una cosa simile parlando proprio di Kalidou (e Al

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MOSCA Aurelio De Laurentiis

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