E Spalletti alza la voce
Koulibaly e Insigne: il nuovo tecnico pretende chiarezza
Pur senza voler essere un guru, Luciano Spalletti s’è ritrovato in un ruolo che sembra gli cali addosso come un mantello: in due settimane, due conferenze stampa e un incontro con il pubblico, gli è bastato esprimere se stesso, nei propri contenuti, per riscoprirsi avvolto in una dimensione, forse insolita o anche no, d’influencer senza macchia e senza paura, d’un uomo che sa sempre cosa dire - e pure come dirlo - anche quando invece sarebbe consigliabile glissare, «democristianamente» si direbbe. Il primo equivoco di fondo, di chi ascolta non suo, è stato scatenato dalla definizione che Spalletti ha dato di sé: «sono un aziendalista». E quasi come se fosse un insulto o un’offesa ritenersi tale, intorno al sostantivo si sono allungate ombre. Essere «aziendalista» fa invece onore a chi, con il proprio club, condivide non ciecamente, né acriticamente - le filosofie, le strategie, alle quali può offrire sostegno con le personali idee. Spalletti non s’è nascosto dinnanzi a quel tam tam esclusivamente social che ancora insegue streghe nel pareggio con il Verona («basta parlarne»), non ha deragliato su Koulibaly che gli piace al punto di spingerlo «ad incatenarsi», non s’è sovrapposto né ad Adl e né a Insigne («bisognerà aspettare l’incontro e sentire cosa si diranno; è chiaro che l’occasione fa l’uomo ladro e il mercato fa invece il calciatore scontento e distratto, ma io sono ottimista»). Spalletti non blandisce, non lusinga, esibisce l’hombre vertical (non i muscoli) che furono Benitez e Ancelotti, quando - a esempio - espressero ad Adl la propria civile contrarietà per la scelta di un ritiro punitivo; e come loro resta all’interno del proprio ruolo, rispettando l’autonomia e l’autorità altrui ma con autorevolezza, senza scadere in contrapposizioni dialettiche populistiche, per ottenere il consenso a tanto all’etto.
C’è un’onestà intellettuale a presa rapida in queste settimane di luna di miele che non è glassa da spargere su giorni anche noiosi, pieni di niente in un mercato che per chiunque è sofferenza allo stato puro, e Spalletti, pure fisiognomicamente, ha provveduto a spingersi oltre: ha cominciato a riempire il futuro, ad arricchirlo di sé, della sua figura e delle sue teorie, di uno spessore comunicativo, nella consapevolezza che sì, maledizione è vero, poi la parola passa al campo, però vuoi mettere cominciare mentre intorno c’è un garante per la trasparenza.
Che Spalletti non abbia alcuna intenzione di attentare ai bilanci del club e tantomeno di arrivare allo scontro con De Laurentiis è un dato di fatto assoluto e incontrovertibile, lo ha detto e ripetuto, ma allo stesso tempo è altrettanto certo che il signor Luciano non abbia alcuna intenzione di perdere o peggio ancora di non poter competere a dovere con le milanesi, le romane, la Juve e l'Atalanta. Anzi: per riportare la squadra nell'Europa importante, tanto per citarlo testualmente, vuole una rosa competitiva di ventitré elementi. «Per mettere a posto i conti bisogna andare in Champions. E come si va in Champions?». Facile: «La differenza la fanno i giocatori di qualità, i giocatori forti». Ecco perché lui sarebbe (idealmente) pronto a incatenarsi per far sì che Koulibaly non vada via; ecco perché attende con ansia e con fiducia l'incontro tra Insigne e il presidente. Aziendalista, sì, ma soprattutto diretto, chiaro e realista.
LE REGOLE. E allora, le regole di Spalletti. La prima: «Essere chiamato aziendalista non m'infastidisce, nel senso che non devo andare a creare debiti assurdi alla comunità per cui lavoro, ma è ovvio che per arrivare in Champions serve una squadra forte». La seconda: «Servono i doppi ruoli, ventitré giocatori forti considerando tutte le partite che abbiamo durante la settimana. E le competizioni si vincono e si perdono per un gol o un punto». La terza: «La differenza la fanno i giocatori di qualità e poi l'allenatore viene di conseguenza». La quarta: «Se partirà qualcuno di quelli forti, perché ripeto che a essere fondamentali sono i giocatori, bisognerà rimpiazzarli». Regole differenti per sfumature, per il modo di spiegare i concetti, ma tutto sommato racchiuse in un unico principio di base: per centrare l'obiettivo della grande Europa ha bisogno di una squadra di valore.
LA CHIAREZZA. Dipendesse da lui, la cosa migliore sarebbe non toccare la rosa attuale. Fermo restando la valutazione di Ghoulam: «Per il momento procede bene, ma vediamo cosa sarà: altrimenti servirà un terzino sinistro». Molto, molto chiara la situazione: Spalletti conosce perfettamente l'esigenza legittima del Napoli - e dunque di De Laurentiis - di abbattere il monte ingaggi e salvaguardare i bilanci, considerando il doppio fallimento Champions consecutivo, ma allo stesso tempo, fermo restando un grande rispetto, preferisce non nascondersi. Non nascondere le sue valutazioni. Del resto, a lui piace parlare chiaro. Tipo su
Koulibaly: «Se lo considero incedibile? Io mi incateno da qualche parte per tenere Koulibaly. Ditemi dove e io lo faccio». Anche Ancelotti, un paio d'anni fa, aveva detto una cosa simile parlando proprio di Kalidou (e Al