Il segreto di Jacobs Lo scudo aerodinamico
Parla il luminare che nel lontano 1987 inventò questa “macchina” con cui si è allenato Marcell quattro mesi fa Il prof. Dal Monte: «E’ un carrello trainato da un’auto. Agisce sulla diminuzione della resistenza, così i muscoli lavorano meglio»
Professore, possiamo dire che dietro lo storico oro di Marcell Jacobs nei 100 metri c'è anche lei? «Ma no, io ho avuto un'idea ormai tantissimi anni fa. Non mi sento di attribuirmi altro merito e poi ci sono tanti altri ragazzi, studiosi e collaboratori che hanno lavorato a questa invenzione. Diciamo che è andata bene, ma io lo sapevo da tempo».
Si chiama scudo aerodinamico, parlarne dal Giappone fa subito atmosfera manga, ma il progetto è italianissimo e figlio di uno tra i più grandi luminari che la scienza applicata allo sport abbia mai conosciuto. Antonio Dal Monte, 90 anni il prossimo 31 ottobre, un passato come direttore scientifico e capo del Dipartimento di Fisiologia e Biomeccanica dell'Istituto di Scienza dello Sport, lo mise a punto nel 1987 con l'obiettivo di migliorare la prestazione in velocità degli sprinter. Poi, il progetto fu messo da parte ma pochi mesi fa il fascicolo è stato rispolverato dall'Istituto di Scienza dello Sport del Coni e riadattato ai canoni moderni. Come funziona? Lo Scudo, un carrello trainato da un'auto, riduce la resistenza aerodinamica e consente agli atleti di correre in scia a parità di potenza erogata ma a velocità superiori a quelle di gara, incidendo così sulla sovrastimolazione neuro-muscolare. L'effetto sulla variazione della forza aerodinamica è stato valutato fino alla velocità di 13 metri al secondo. E l'atleta che lo ha testato non più di 4 mesi fa è stato proprio Jacobs.
Una coincidenza, professore? «Si sono ritrovate insieme una serie di condizioni, tra allenamento e “materiale” umano. Il progetto, una delle tante follie che mi sono venute in mente, agisce sulla diminuzione della resistenza e non sull'aumento della potenza: così i muscoli lavorano meglio. Nel frattempo il progetto è stato aggiustato, avvicinando al massimo la struttura alla sagoma dell'uomo, senza essere un ostacolo».
Quanto può aver inciso un allenamento così particolare sulle prestazioni di Jacobs?
«Difficile dirlo. Nelle performance di velocità i guadagni sono tanto più ridotti quanto più aumenta la velocità stessa. Parliamo di centesimi di secondo, ma molto dipende anche dalla struttura fisica dell'atleta, dall'ambiente esterno, se si trova in uno stato di grazia... perfino se quel giorno magari ha litigato con qualcuno».
Lei si aspettava la vittoria di un italiano nei 100 metri? «Sapevo che qualcosa prima o poi sarebbe accaduto, però non fino a questo punto».
La sua invenzione più conosciuta è senza dubbio quella delle ruote lenticolari. Dove nascevano le sue idee?
«Alla base di tutto ho semplicemente sempre messo l'aerodinamica, la resistenza dell'aria è sempre stata una mia nemica».
In carriera ha avuto sempre carta bianca o c'era scetticismo quando proponeva unanuovainvenzione?
«C’era solo scetticismo. Come un Galileo del Novecento? Il paragone con Galileo mi sembra eccessivo, però le risposte alle mie spiritose invenzioni all'inizio erano sempre molto contrarie. Dovevo costantemente affrontare le prove del nove e dire a tutti “andiamo in laboratorio o su strada e misuriamo”».
C'è una disciplina che può ancora progredire o è stato raggiunto il massimo delle performance? «Rispondo al contrario: non c'è alcuno sport che non possa ancora progredire. O il progresso arriva con la riduzione della resistenza aerodinamica, e anche le mie ruote lenticolari sono state migliorate, oppure con la maggiore potenza umana e la maggiore tolleranza allo sforzo. Con una combinazione di entrambi i fattori»
Dunque la macchina uomo non ha ancora fatto vedere tutto ciò di cui è capace?
«Non c'è nulla in cui da qualche parte non si possa trovare un miglioramento. Siamo lontani dal raggiungere il massimo. Quello che abbiamo ottenuto è il massimo oggi, ma tutto può sempre evolvere domani».
Per il progresso conta di più l'allenamento o avere talento e caratteristiche innate?
«Non esiste un atleta già fatto e completo fin dalla nascita, ognuno è “costruito”. Esistono individui che di base hanno peculiarità fisiche naturali e adatte per alcuni sport e solo in quelli. Ma ci sono anche atleti “strani”, che si specializzano in discipline totalmente diverse tra loro: è il caso del mio caro amico Daniele Masala, campione olimpico di pentathlon».
Ci sono dei collaboratori che portano avanti il suo lavoro?
«E’ stato bello vedere che l'idea dello scudo aerodinamico è stata ripresa dai miei ex atleti e studenti e sta andando molto bene. Vuol dire che se alcune cose muoiono precocemente con noi, altre hanno una loro vita e continuano il loro sviluppo. Bisogna continuare a studiare».
Quindi cosa dobbiamo aspettarci professore?
«Mi chiede troppo. In Istituto non ci vado più spesso per un motivo molto semplice: non voglio rompere le scatole a chi lavora. Quello che mi rende felice oggi è dare una mano se mi viene chiesta. Nel caso dello Scudo aerodinamico mi ha fatto un immenso piacere».
«Ne sono sicuro: non esiste alcuno sport che non possa ancora progredire»
«L’oro dei 100? Sapevo che prima o poi qualcosa sarebbe accaduto»