Banti&Tita, la vela d’oro «Olimpiade di felicità»
Nella baia di Enoshima gli azzurri si laureano campioni olimpici “misti” con il Nacra 17 il catamarano volante Il sogno è realtà 21 anni dopo il titolo della Sensini a Sydney
Hanno gestito il vantaggio sulla coppia britannica Li ha premiati Malagò: «Ci avevo visto lungo» Coppia di regata e non nella vita avevano iniziato da due sport differenti e poi si sono trovati in mare
La vela azzurra torna a issarsi sul gradino più alto del podio. Il tricolore italiano sventola nella baia di Sagami, teatro delle regate a cinque cerchi proprio come accadde in occasione dei precedenti Giochi di Tokyo 1964, e a farlo librare nell’aria sono Ruggero Tita e Caterina Banti, nuovi campioni olimpici del Nacra 17, ovvero il catamarano sportivo che viaggia sopra i 20 nodi (circa 40 km/h). Avevano già un argento in tasca prima di navigare nella medal race, la regata finale che definisce la classifica, con ampio margine sulla coppia britannica composta da John Gimson e Anna Burnet, l’unica che avrebbe potuto strappargli la medaglia del metallo più prezioso.
Ruggero e Caterina hanno regatato con la testa, disinteressandosi del successo parziale e marcando, invece, gli avversari diretti, tenuti sotto controllo fino all’arrivo, dove i due azzurri hanno tagliato il traguardo per sesti, appena alle spalle dei rivali diretti (quinti). A quel punto sì che è potuta scattare la festa, cominciata a Enoshima con la premiazione, che ha avuto un cerimoniere d’eccezione: il presidente del Coni Giovanni Malagò. «In epoche non sospette avevo chiesto al Cio di effettuare questa premiazione. Ci avevo visto lungo», ha raccontato dopo aver potuto condividere questo momento storico con la coppia per metà trentina e per l’altra romana. Già, perché l’Italia non era ancora riuscita a portare due atleti di sesso diverso sul gradino più alto del podio in nessun’altra disciplina nella sua storia olimpica. Tabù sfatato grazie alla medaglia che arriva a 13 anni dalle ultime gioie di Pechino (argento di Alessandra Sensini nel windsurf e bronzo di Diego Romero nella classe Laser) e a ben 21 dal precedente titolo olimpico, conquistato dalla Sensini a Sydney 2000, sempre nel windsurf.
Ruggero e Caterina non sono una coppia nella vita sulla terraferma, ma in pratica passano insieme più tempo tra di loro che con i rispettivi compagni.
Tutti e due hanno iniziato con sport che nulla hanno a che fare col mare: lui è partito dallo sci, lei si divideva tra equitazione, scherma e ginnastica ritmica, prima di scoprire la vela. Ruggero non sta mai fermo e, quando non è per mare, d’inverno adora lo sci alpinismo e il parapendio d’estate. Curiosità, entrambi sono partiti da un lago: Ruggero da quello di Caldonazzo, Caterina da Bracciano. «Dalla prima volta che siamo andati in barca insieme abbiamo subito trovato una sincronia che è fondamentale nella vela e a cui molte persone ci lavorano per anni e non sempre ci riescono», spiega Caterina. Le loro strambate e la loro velocità nelle manovre è stata cruciare per trionfare in quest’edizione.
Due volte campioni europei, un titolo mondiale, l’Olimpiade era il sigillo che mancava, quello messo nel mirino da diversi anni. Per conquistarlo, si sono allenati per 4.400 ore, hanno eseguito 70 mila virate, 55 mila strambate e hanno percorso 11 mila miglia in mare. Ad allenarli è Gabriele «Gianga» Bruni, fratello del timoniere di Luna Rossa, Francesco: a proposito di Olimpiadi, Gianga e Checco hanno condiviso la gioia di partecipare insieme all’edizione di Sydney 2000.
Oltre a essere dei grandi atleti, Ruggero e Caterina hanno due grandi menti. Il ventinovenne finanziere trentino di Rovereto è un ingegnere informatico che, se non fosse scoppiata la pandemia e l’Olimpiade si fosse tenuta la scorsa estate, avrebbe partecipato all’ultima America’s Cup lo scorso marzo a bordo di Luna Rossa. «È vero che ho dovuto rinunciarvi, ma non ho rimpianti, ancor più ora che ho questa medaglia al collo - ribatte Ruggero - Abbiamo scritto un pezzettino della storia italiana, anche se senza pubblico sembrava una garetta del circolo sociale». Ora che ha trionfato a Tokyo, potrebbe risalire a bordo dell’equipaggio di Patrizio Bertelli per preparare un’altra sfida impossibile, però anche il bis d’oro all’Olimpiade di Parigi 2024 lo stuzzica: la scelta non sarà semplice. «A me, invece, non hanno ancora invitato a bordo», commenta la trentaquattrenne romana che parla sei lingue, tra cui l’arabo, e che ha una magistrale in studi islamici a Napoli. Ruggero allora le risponde che l’aspettano, visto che per il nuovo regolamento della Coppa America si parla di inserire l’obbligatorietà di almeno una donna a bordo. Caterina per ora ci pensa, ma intanto rivive il trionfo di ieri: «Non ho mai avuto dubbi sulla nostra vittoria, abbiamo dato il sangue, abbiamo studiato, ci siamo preparati e questa medaglia pesa, proprio come tutto il lavoro fatto fino a questo giorno. Abbiamo studiato tutti i minimi dettagli che potevano influenzare le regalate e ci siamo presentati a Tokyo con l’idea di veleggiare in mare e divertirci». L’hanno fatto e ora torneranno in Italia con la medaglia più preziosa che ci sia, il quarto oro della vela azzurra alle Olimpiadi.
Sono già saliti sul tetto del mondo e dell’Europa mancavano i Giochi
Si sono allenati per 4.400 ore e hanno eseguito 55.000 strambate