È QUANDO SI VINCE CHE BISOGNA INVESTIRE
iciamo la verità: qui rischiamo di montarci la testa con lo sport. Prima gli Europei di calcio con una grande vittoria, poi arriviamo a Tokyo cominciano medaglie di argento e di bronzo fino a Tamberi con il salto in alto che vince un oro, poi Jacobs nei 100 metri con un altro oro. Per non perdere l’abitudine, Vanessa Ferrari, l’indomani ha vinto un argento nel corpo libero. Brava, anche se non ha vinto l’oro. Subito è arrivata la Vela d’oro. Ma usciamo dal Giappone e torniamo in Inghilterra dove Berrettini, grande tennista, ha combattuto a Wimbledon.
Fra di noi possiamo dirci che eravamo una Nazione composta da tifosi che amavano lo sport, ma vederlo più che farlo. Le competizioni di questi giorni, ci testimoniano che nel frattempo nelle palestre, nelle piscine i nostri giovani si sono allenati e sono diventati bravissimi. Ho ascoltato quanto dicevano a Osimo dove Tamberi è nato e si è allenato. Ma ho ascoltato anche il racconto della mamma di Jacobs e di come questo giovanissimo sia arrivato a Tokyio con la sensazione che, forse, le cose potessero girare per il verso giusto. Ha fatto bene il presidente Draghi a telefonare subito ai campioni per complimentarsi con loro. Sono certo che, come ha fatto con la Nazionale, sia lui che il presidente Mattarella, riceveranno i nostri eroi di ritorno dal Giappone.
Devo ammetterlo: non mi aspettavo questa pioggia di successi che mi stupisce ma anche mi inorgoglisce. Poche settimane fa su queste colonne rimpiangevo la mancanza di Bartali, di Coppi, di Magni nel ciclismo ma mi sento ripagato dalla presenza di Tamberi, di Jacobs, di Berrettini e degli uomini di Mancini nelle altre discipline. Complimenti anche a Giovanni Malagò, presidente del Coni.
Però, proprio quando si vince, è il momento d’investire, di migliorare i servizi, di aumentare i luoghi dove i giovani possano allenarsi con tutte le giuste attrezzature. Non montiamoci la testa, ripeto, ma favoriamo l’entusiasmo che questi successi hanno certamente creato in molti giovani che forse, dentro di loro, sentono di essere un nuovo Tamberi, un nuovo Jacobs, un nuovo Berrettini.
Siamo talmente abituati a piangerci addosso che mi sono reso conto di aver scritto queste righe con un inusitato entusiasmo.