Corriere dello Sport

«Noi in picchiata in cima al podio»

Ganna: «L’argento era solo un paracadute da non aprire. Il lavoro dei miei compagni è più difficile»

- Di Alberto Dolfin

Un boato azzurro echeggia nel velodromo di Izu. Filippo Ganna si è inventato un’altra rimonta delle sue e negli ultimi 750 metri ha rosicchiat­o un margine di più di mezzo secondo (714 millesimi per la precisione) e ne ha rifilati altri 166 ai danesi, trascinand­o i compagni del treno azzurro al titolo olimpico. Nella prefettura di Shizuoka, l’Olimpiade è a porte aperte e così la Locomotiva di Verbania ne approfitta per godersi gli applausi e, portandosi le mani alle orecchie, ne invoca ancora di più poi, scende dal suo bolide e lo alza al cielo in segno di trionfo, prima di abbracciar­e il deus ex machina di questo quartetto tutto d’oro: Marco Villa, c.t. della Nazionale azzurra che 21 anni fa a Sydney si era messo al collo il bronzo nell’americana con Silvio Martinello.

«Credevo che restasse un sogno, invece... – racconta - Abbiamo fatto venire le gambe molli agli avversari. Prima siamo stati in vantaggio noi, poi sono andati in vantaggio loro, per poco. E con sei decimi a tre giri dalla fine, quando Pippo è andato davanti, ci ho creduto e abbiamo vinto».

Terminate le fatiche in sella, Ganna alza la sua bici al cielo, poi la ripone e si tuffa nell’abbraccio con Villa, mentre Simone Consonni scoppia in lacrime.

Sugli spalti rimangono a bocca aperta anche le azzurre, scatenate tifose per tutta la gara, e anch’esse impression­ate dal finale travolgent­e di Top Ganna. «Assurdo quello che ha fatto Pippo – commenta Letizia Paternoste­r mentre imbocca il tunnel che dalle tribune porta all’interno della pista, dove con le altre compagne corre ad abbracciar­e i quattro ragazzi d’oro - È stato un mostro. A un chilometro dalla fine non ci credevamo più neanche noi».

Il presidente del Coni Giovanni Malagò esclama in mondo visione: «Mamma mia, che gara che hanno fatto». Al suo fianco c’è il presidente della Federcicli­smo Cordiano Dagnoni: «Vedendo il finale che aveva fatto ieri Ganna ci ho creduto ancora, ma sono stati tutti campioni. Ognuno ha un compito ben definito. Lamon ha un ruolo importante e determinan­te. Milan è giovane, ma ha un motore esagerato. E Consonni è quello che ci mette più cuore di tutti. È un vittoria storica».

Un trionfo in cui Ganna credeva con tutto se stesso: «Sapevamo di avere un buon paracadute con l’argento, ma il paracadute non lo volevamo, perché volevamo andare in picchiata libera verso il grande risultato. Siamo riusciti a ottenerlo con tanta fatica, sudore e lavoro di squadra».

Tutti lo elogiano per il finale, compreso sir Bradley Wiggins (corrispond­ente per Eurosport), lui sminuisce: «Io, una volta che sono lanciato e ho preso il ritmo devo solo mantenere, nient’altro. Vi assicuro che fare il lavoro degli altri tre è molto più difficile».

Sorride Francesco Lamon, che ha lanciato il quartetto nelle prime tornate: «Questa medaglia vuol dire tutto, perché siamo partiti 5 anni fa, a Rio 2016, dove eravamo arrivati lì per caso, mentre qui sapevamo di poter giocarci qualcosa di importante». Gli fa eco Simone Consonni: «Qui siamo in quattro, ma c’è tutta una Nazione dietro. Grazie alla riserva Liam Bertazzo, a Elia Viviani e a quelli che erano a casa».

Il più piccino del gruppo, nonostante l’altezza, non ci crede. Jonathan Milan, 21 anni da compiere il primo ottobre, ragazzo originario di Buia (lo stesso paese di Alessandro De Marchi) ammette: «Non ho ancora realizzato quello che è successo. Era un sogno e siamo riusciti a realizzarl­o tutti insieme, come un vero team».

E le emozioni al velodromo proseguono: oggi tocca al nostro portabandi­era Viviani nell’omnium di cui è campione olimpico in carica.

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