Corriere dello Sport

Quando Gimbo volava ai Gardens

Due anni fa protagonis­ta nel famoso playground di Bologna «E non voleva smettere...»

- Di Marco Tarozzi

Campioni arrivati dalla NBA, giocatori che hanno fatto la storia della pallacanes­tro italiana: c’è passato davvero di tutto, ai Playground dei Giardini Margherita a Bologna. E adesso possiamo dire che su questo campetto in cemento, ormai conosciuto e amato in tutta Italia, è transitato anche un campione olimpico. Che la medaglia d’oro non l’ha vinta nel basket, d’accordo. Ma che ha saputo volare altissimo su una pedana di atletica leggera, entrando nella storia. Perché nessun azzurro aveva mai vinto la gara del salto in alto alle Olimpiadi. C’è riuscito Gianmarco Tamberi, nella domenica più ricca per la disciplina storicamen­te regina dei Giochi, proprio dieci minuti prima che un altro azzurro, Lamont Marcell Jacobs, dominasse la prova dei 100 metri, altro traguardo storico per l’Italia. C’è riuscito, appunto, un ragazzo dei Gardens.

ANCONA, COME PAJOLA. Non è un segreto, l’amore di Gimbo per il mondo dei canestri. Lo ha raccontato tante volte lui stesso: «Il basket non è stata la mia prima passione, è stata ed è l’unica. Avevo quattro anni quando presi in mano un pallone per la prima volta, e fu amore a prima vista, folgorante». Ha giocato nella Robur Osimo, facendo tutta la trafila delle giovanili, per chiudere con una stagione alla Stamura Ancona, la stessa società da cui è uscito qualche anno dopo Alessandro Pajola, per prendere la strada di Bologna e della Virtus. Era una guardia che sognava un futuro alla Tracy McGrady, ma a sedici anni l’incontro col salto in alto, di cui papà Marco era stato primatista italiano e finalista olimpico, fino al maledetto giorno in cui, appena ventisette­nne, fu investito da un camion che gli tranciò di netto il tendine d’Achille. A sedici anni, Gianmarco prese dunque la strada dell’atletica leggera, come del resto il fratello maggiofort­itudino, re, Gianluca, anche lui innamorato del basket, poi primatista italiano juniores di giavellott­o, prima di vincere nel 2012 il concorso di Mister Italia e intraprend­ere il mestiere di modello e attore.

SETTE GIORNI IN A2. C’era Giulio Griccioli, nella stagione 2018-19 vice di Sacripanti alla Virtus, a guidare la Mens Sana Siena in Serie A2, quando nel settembre 2017 arrivò da Gimbo la richiesta di potersi allenare per un breve periodo con la squadra, raccolta al volo dal presidente Guido Bagatta. Ci restò una settimana, nei ranghi dell’allora SoundReef, e scese anche in campo in un’amichevole contro Pistoia, che allora giocava in Serie A. Il coach li ricorda ancora bene, quei giorni: «Forse l’idea era partita da una boutade, non so. Di certo, tutti la prendemmo sul serio e capimmo che un’esperienza del genere avrebbe arricchito tutti. Per me fu bellissimo, non sapevo bene cosa aspettarmi da un campione di un’altra disciplina che viene a inserirsi in un gruppo. Lui venne, si allenò con la squadra, lo misi proprio dentro ogni allenament­o e gli feci giocare quella amichevole, dove entrò e segnò subito. Ci sapeva fare, aveva ovviamente l’atletismo come base ma anche un bel tiro da tre, un controllo di palla notevole. Ora tutti ne tesseranno, giustament­e, le lodi, io ho il ricordo di un campione vero, con cui sono rimasto in contatto. Un ragazzo alla mano, dal cuore grandissim­o, appassiona­to di basket al mille per cento. Già allora aveva in testa l’appuntamen­to di Tokyo, come obiettivo di vita. Domenica mi sono emozionato, perché mi era rimasto in testa quel suo fuoco che è rimasto acceso per anni. Gli ho anche scritto. Sembra una storia da film, mi sono commosso per lui che ha passato mille traversie».

UN CANESTRO NEL CUORE. Amico di Gigi Datome, tifoso degli Houston Rockets, accolto da eroe dopo la vittoria al villaggio olimpico da quelli dell’Italbasket, tra gli altri Tonut, Ricci, Gallinari e naturalmen­te il conterrane­o Ale Pajola. Nomale, per uno che assicura che «la pallacanes­tro è la mia vita, quando ho lasciato per darmi definitiva­mente al salto in alto non è stato un abbandono facile, e anche adesso che dovrei essere un atleta profession­ista mi ritrovo sempre con le scarpe da basket ai piedi e un pallone tra le mani».

QUELLA SERA AI GARDENS. Così è stato anche al Playground, nell’estate di due anni fa. Tamberi scese in campo con gli All Star Couponlus, per una partita di beneficenz­a, accanto a Davide Lamma, “eroe” raccoglien­do una cifra importante per l’associazio­ne Bibi Miscione, che promuove la ricerca scientific­a nel campo della chirurgia ortopedica. E alla passione unì il talento, che non era e non è davvero comune. Quando gioca su un parquet, Gimbo mette in mostra la tecnica imparata in tanti anni di basket giocato. E si capisce subito che non ha abbandonat­o la materia da anni, ma continua a rinfrescar­e la vocazione, almeno quando la preparazio­ne per lo sport che alla fine ha scelto non lo impegna ai massimi livelli. Gran saltatore, guardia che trova con naturalezz­a la via del canestro, schiacciat­ore sopraffino. Le doti che il pubblico dei Gardens non dimentica, nemmeno due anni dopo la performanc­e.

INSTANCABI­LE. Simone Motola, anima del torneo insieme al mai abbastanza ricordato Walter Bussolari, ricorda ancora quella giornata bolognese: «Gimbo arrivò in anticipo, nel primo pomeriggio, e allora lo portarono al playground del Meloncello, dove giocò per più di tre ore. Poi si sciacquò al volo e corse ai Giardini, dove giocò quella partita di beneficenz­a. Non contento, finita la gara si mise a fare un due contro due insieme a tre ragazze della Virtus femminile. Ricordo che a un certo punto gli dissi: “Gimbo, io devo spegnere le luci”. Era passata mezzanotte. Chiudemmo la serata, anzi la nottata, al Mulino Bruciato, tanto per fargli vivere completame­nte l’esperienza del Playground…». In cambio, Gimbo Tamberi ci ha fatto vivere un’esperienza indimentic­abile. Sarà d’accordo anche Walter, lassù, vedendo brillare una medaglia d’oro olimpica sul suo campetto pieno di storia e gloria.

Nel 2017 chiese di allenarsi con Siena giocando anche un’amichevole

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