AL CENTRO DEL GIORNALE IL MAXI-POSTER DELL’IMPRESA DEL QUARTETTO
La medaglia numero 30, la sesta più preziosa, arriva dagli azzurri della pista, che inseguono e superano i danesi in un finale miracoloso quando sembrava impossibile Trionfo stratosferico del quartetto azzurro (non succedeva da Roma 1960) e nuovo record d
La scalata è completa, i nuovi dominatori dell’inseguimento su pista hanno il tricolore stampato sul petto. Non succedeva da Roma 1960, un’era geologica fa. A sessantuno anni di distanza, l’Italia si è arrampicata in cima al mondo dopo stagioni di fatica, sudore e sacrifici. Limando i dettagli e annullando i limiti, senza mai smettere di migliorarsi.
Appena cinque anni fa (ai Mondiali di Londra) il quartetto era entrato in un mondo inesplorato, portandosi per la prima volta sotto i quattro minuti, e nel febbraio 2020, alla rassegna iridata di Berlino, aveva timidamente messo i piedi tra l’élite mondiale, con un bronzo e la sconfitta contro i maestri danesi. Dunque la scalata al trono non poteva che completarsi battendo proprio la Danimarca, sul palcoscenico più importante di tutti e con un oro olimpico in palio. Missione compiuta, mai come stavolta il trionfo arriva da lontano.
CRESCITA GRADUALE.
Rispetto all’Izu Velodrome, il quartier generale della pista azzurra è dall’altra parte del mondo. Il parquet dell’ovale di Montichiari, in provincia di Brescia, infatti è stato letteralmente consumato da Ganna e compagni, ossessionati da un c.t. martellante, quel Marco Villa ormai negli staff tecnici azzurri dal 2009 dopo una carriera spesa in pista e culminata nel bronzo nella Madison a Sydney 2000. I progressi straordinari di tutto il settore erano già stati lampanti a Rio, grazie all’oro conquistato nell’Omnium da Viviani, ma in Giappone è stato toccato il punto più alto a livello di squadra e di relativi progressi, testimoniati dal record del mondo (il secondo in due giorni) stampato a 3’42"032. In questa specialità l’ultima medaglia olimpica risaliva addirittura al bronzo di Città del Messico nel 1968.
Adesso l’Italia della pista non insegue più. Ha raggiunto e superato anche i fasti degli anni Novanta, quando ai Mondiali di Manchester venne scritto sulla roccia il nuovo record del mondo e poco dopo, ai Giochi di Atlanta 1996, Collinelli vinse l’oro olimpico nell’inseguimento individuale. Questa è la nuova epoca del trionfo e molto presto (a Parigi 2024) arriveranno anche i successi al femminile, dopo il sesto posto delle ragazze del c.t. Salvoldi a un’età media di soli 22 anni.
DETTAGLI. «Non è facile tenere ancorati alla pista atleti del livello di Viviani e Ganna - ha spiegato il c.t. Marco Villa - Sono loro il vero esempio per i compagni di squadra. Vincere al Giro e imporsi nel World Tour su strada non significa automaticamente venire al velodromo per sacrificarsi due o tre giorni giorni dopo. Sgobbare con i compagni, provare e riprovare le partenze da fermo, rientrare in camera sfiniti dopo doppie sessioni giornaliere. In questi dettagli c’è il segreto del trionfo».
Il miracolo della finale si è concretizzato quando tutto sembrava maledettamente complesso. Ai 3000 metri la Danimarca era in testa con più di 8 decimi, ma la solita irresistibile “trenata” di Ganna ha portato gli azzurri a +0’’493 ai 3500 metri con un ultimo giro letteralmente folle, culminato in un successo mozzafiato: 3’42″032 contro il 3’42″198 dei danesi.
Nel bel mezzo della festa, dall’Italia è arrivato anche il commento di Davide Cassani, d.t. delle Nazionali (ormai defenestrato) e uomo che più di tutti ha voluto quest’amalgama tra pista e strada per non lasciare nulla d’intentato: «Questa è la vittoria di squadra per eccellenza. Me la sono goduta, sapevo che lo strappo finale sarebbe toccato a Ganna e lui ha dimostrato esattamente di cosa è capace». Irraggiungibile Italia. Adesso inseguire tocca agli altri.
Il c.t. Villa: «Ganna e Viviani vincono su strada e poi sudano in pista. Che traino!»