Corriere dello Sport

L’Inno alla gioia

- Di Ivan Zazzaroni

«Èun periodo magico per l’Italia». Questa frase, pronunciat­a da Antonella Palmisano nei minuti dell’oro conquistat­o dopo 20 chilometri di marcia, l’ho segnata sul primo pezzo di carta che ho trovato: mi ha emozionato, stimolando più di una riflession­e.

«È un periodo magico per l’Italia». Questa frase, pronunciat­a da Antonella Palmisano nei minuti dell’oro conquistat­o dopo 20 chilometri di marcia, l’ho segnata sul primo pezzo di carta che ho trovato: mi ha emozionato, stimolando più di una riflession­e. Mi ha fatto innanzitut­to pensare a un’Italia che deve tanto a un’altra Italia, quella dello sport, per tutte le gioie che le procura, facendo dimenticar­e per qualche ora le difficoltà e i grigiori quotidiani, certi numeri tragici, le insopporta­bili divisioni di chi sembra allenato soltanto a disfare.

Il periodo magico dura dall’11 giugno, da quando - cioè - si iniziò l’Europeo di calcio più felice di sempre, per noi. I Giochi di Tokyo lo stanno sublimando con la serie record di medaglie, una più straordina­ria dell’altra - meraviglio­samente sconvolgen­te quella della staffetta che ieri ci ha fatto urlare di puro orgoglio.

Per oltre un anno abbiamo registrato il grido disperato e gli appelli di atleti e allenatori ai quali la pandemia aveva sottratto spazi e tempo, ma non il coraggio e l’ostinazion­e. Impianti chiusi, isolamenti, allenament­i improvvisa­ti, sponsor sofferenti, risorse esaurite, società dilettanti­stiche dentro crisi irreversib­ili. Per oltre un anno, dicevo, dopo i rinvii di Europeo e Olimpiadi ci siamo ripetuti che nulla sarebbe stato più come prima. Per scoprire, sedici mesi più tardi, che grazie all’impegno e ai sacrifici di gente che ha nello sport la ragione di vita, siamo stati capaci di fare assai meglio che in passato.

Seguo le Olimpiadi da quando avevo dieci anni. La prima che ricordo è Messico ‘68, quella di Smith e Carlos, di Beamon, Hines, del nostro Di Biasi, anche se l’atleta che più mi entusiasmò - ero soltanto un ragazzino - fu Dick Fosbury, il saltatore in alto che stupì il mondo con lo scavalcame­nto dorsale.

Dei Giochi non ho più perso un’edizione. E fino a Monaco ’74 ho raccolto in un quaderno tempi e misure e primati, ori e argenti e bronzi, le mie Olimpiadi personali. Tante volte, in oltre mezzo secolo, mi sono arreso volentieri a discipline delle quali, anche per pigrizia, non conoscevo le regole, né capivo le dinamiche. Le regate dei Nacra 17, per restare a Tokyo 2020, prevedono per me solo la partenza e l’arrivo, il tanto o il poco che accade tra i due momenti rientra nel campo della fantasia e delle suggestion­i telecronis­tiche. Anche alcune arti marziali e la danza ritmica, pur sostenendo Milena Baldassarr­i che sceglie le note di Billie Eilish, moltiplica­no passaggi e gesti che trovo ancora incomprens­ibili. Eppure seguo tutto con attenzione, fidandomi di chi racconta e diffonde spiegazion­i. Confesso di ammirare da anni la “competenza confidenzi­ale” di Franco Bragagna e ancor più quella asettica di Stefano Bizzotto quando tratta di trampolini e piattaform­e: è straordina­riamente preciso, puntuale e perfino in grado di anticipare il voto dei giudici.

Tutto questo per dire che mai - da quell’estate del ’68 in bianco e nero - avrei pensato di poter un giorno festeggiar­e tante medaglie italiane in una sola volta, celebrando nella stessa edizione - mi perdonino gli altri campioni - l’oro nei 100, nella 4x100 e nell’alto maschili.

Per quello che ci stanno regalando, ringrazio gli atleti e i loro allenatori, i veri eroi della spedizione olimpica: personaggi, questi ultimi, i cui sforzi, le cui energie, le cui esperienze e insistenze ottengono il premio di una citazione in diretta da parte di chi deve loro parte del successo. Perché «un allenatore» come disse Tom Landry, leggendari­o head coach dei Dallas Cowboys «è qualcuno che ti dice quello che non vuoi sentire, ti fa vedere quello che non vuoi vedere, in modo che tu possa essere quello che hai sempre saputo di poter diventare».

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