Corriere dello Sport

L’ultima rincorsa degli eterni duellanti

- di Massimilia­no Gallo

Fino alla fine. Come veri duellanti. Una rivalità sportiva che non si stempera nemmeno nel crepuscolo. Leo Messi e Cristiano Ronaldo. Rappresent­ano, da soli, una fetta di storia del calcio. Come in ogni rivalità che si rispetti, si sono sostenuti e aiutati reciprocam­ente. A non restare mai fermi, a non cullarsi sugli allori, a migliorars­i. C'era Messi il giorno della prima grande delusione calcistica di Cristiano: maggio 2009, finale di Champions League, stadio Olimpico di Roma, il Barça di Guardiola impartisce una lezione di calcio al Manchester United di Ferguson. Finisce 2-0, il portoghese è costretto a guardare persino un gol di testa del rivale. Sarà la sua ultima partita con i Red Devils. Si trasferirà a Madrid, chiamato al capezzale del malato e ricoperto d'oro proprio per vendicare calcistica­mente l'onta del guardiolis­mo che stava umiliando la Casa Blanca.

Da un lato la tecnica, la perfezione balistica, il dono di natura; dall'altro la nuova frontiera del calcio, l'atletismo esasperato applicato al pallone, e una determinaz­ione fuori dal comune, la voglia inestingui­bile di vincere e di segnare. Per nove stagioni, Barcellona-Real Madrid è stato Messi contro Cristiano Ronaldo. Una sfida a colpi di gol e di record. La rincorsa del portoghese è stata lunga, a tratti affannosa, con momenti persino mortifican­ti come la manita (5-0) subita il 29 novembre 2010 anno primo dell'era madridista di Mourinho. Un'umiliazion­e che avrebbe steso un toro ma non lui. Perché Cristiano Ronaldo non si arrende mai, ha una straordina­ria fiducia nei propri mezzi. E col tempo si è preso la rivincita con gli interessi. Le quattro Champions alzate con la maglia del Madrid (più una con lo United) valgono più della foto omerica di Lionel Messi che segna al Bernabeu ed espone la maglietta come se fosse un torero nell'arena. E per inciso Messi di Champions ne ha vinte quattro.

Anche il rapporto con le Nazionali li ha uniti. Messi schiacciat­o da quel paragone ingombrant­e con cui ha dovuto fare i conti ogni giorno della sua vita. Quel numero 10 che proprio ai Mondiali, e contro l'odiata Inghilterr­a, in dieci minuti segnò due gol che riassumono la storia del calcio. E solo a 34 anni ha vinto il suo primo trofeo, la Copa America. Ronaldo ha battuto tutti i record ma in fondo l'unica competizio­ne importante - l'Europeo del 2016 - il Portogallo l'ha vinta con CR7 a bordo campo infortunat­o.

Insieme anche nel declino. Ha sofferto Ronaldo negli ultimi tre anni. Ha sofferto a uscire dalla Champions ancor prima che si entrasse nel vivo. Gli bruciava dentro. Bastò un gesto della mano, come a dire “te la sei fatta addosso eh?” a decretare l'addio di Allegri dopo l'eliminazio­ne con l’Ajax. Almeno non è stato costretto a guardare trionfare il rivale. Anzi, l'ha visto sprofondar­e, sommerso di gol (ben otto), contro il Bayern di Monaco, o farsi rimontare come dilettanti a Liverpool. Il Trofeo Gamper di domani doveva essere Messi contro Ronaldo. Invece Messi non ci sarà. Salvo sorprese (Chelsea), andrà al Psg. E potrebbe così fare l'ennesimo dispetto al rivale: soffiargli la maglia che Cristiano sta sognando da mesi.

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