Corriere dello Sport

Galeazzi: «I miei mitici»

La rilettura in tre atti di Tokyo 2020 fatta dalla voce olimpica per eccellenza, il Bisteccone più amato della storia: da Jacobs a Tamberi, da Mennea al «più grande di tutti noi, Giuseppe Albertini» «Tortu è stato magnifico: ha corso per se stesso e anche

- Di Giancarlo Dotto

Immenso Giampiero, in tutti i sensi possibili. Il bisteccone più amato nella storia delle bistecche umane. Intervista in 3 round e 3 atti sulla scia dell’ubriacante happening che accade in tempo reale a Tokyo.

ATTO PRIMO

Immenso Giampiero, in tutti i sensi possibili. Il bisteccone più amato nella storia delle bistecche umane. Intervista in 3 round e 3 atti sulla scia dell’ubriacante happening che accade in tempo reale a Tokyo.

Mi parla dal divano di casa. Non lo vedo, ma è come se lo vedessi. Un’immagine lirica che infonde pace, anche oggi che è malato, con il suo diabete, la protesi al ginocchio, la difficoltà a camminare e i chili addosso che sono sempre tanti, troppi. La voce è quella che è, quella che resta, di un personaggi­o omerico. L’amabile orco faceva tremare le case degli italiani con la scusa dei fratelloni Abbagnale. Ci strappava di peso dalle nostre case e ci portava dentro le cose. Che fossero gare, eventi, sketch, persone. Oggi i suoni si fanno largo a fatica. Qualche volta si spezzano lungo la strada. Ma la mente è più lucida che mai, i pensieri sferzanti, le sintesi inesorabil­i. Lo slang romanesco di sempre. È come se fossi lì, sono lì, seduto al suo fianco, nella sua casa romana, a guardare i Giochi. Di questo Falstaff contempora­neo, che ha stravissut­o, stramangia­to, strabevuto, stragoduto, qualche volta straparlat­o. Gli sto accanto e sento di volergli bene, a questo smisurato omone, ostaggio di un mondo che aveva solo sapori e ora ha solo languori. 75 anni e non un solo giorno sprecato a contemplar­e ciò che era possibile vivere.

Come te la passi Giampiero? «Sto a pezzi, sto qui piegato in due sul divano, dopo la fisioterap­ia…».

Una vita in Rai

Giampiero Galeazzi, 75 anni, ex canottiere (campione italiano nel singolo nel 1967) poi telecronis­ta e conduttore televisivo. Entrò in Rai nel 1972

Vuoi che rinviamo?

«Ma no, famola adesso, che poi devo stare con mio figlio…».

Li stai seguendo questi Giochi? «Abbastanza. Sai, dovendo stare a letto tutto questo tempo. Ho difficoltà serie di deambulazi­one. Cammino a fatica. A giorni vado, altri no».

Come li stai vivendo?

«Sono partiti a fari spenti con questo Covid. Mettiamoci al posto degli atleti. L’incertezza. Li fanno o no? Molto duro, dal punto di vista psicologic­o e della preparazio­ne. Pensavo che li rimandasse­ro. I giapponesi non li volevano».

Giusto non rimandarli? «Sarebbe stato meglio evitare tutto questo gigantismo. Se ne poteva fare a meno di tutte queste discipline da esibizione, lo skateboard, il surf, l’arrampicat­a. Hanno portato 340 persone. Sai quanti eravamo noi in Messico?»

No.

«Quasi la metà, 180. No, non mi sarei allargato così, viste le circostanz­e…».

Sei andato come riserva del canottaggi­o.

«Amo lo sport e lo odio per questo motivo. È stata la più grande delusione della mia vita. Meritavo di essere titolare».

Ti brucia ancora?

«Mi brucia più di prima. Se ci penso divento idrofobo. Una delle più grandi ingiustizi­e sportive di sempre. Fosse stato oggi sarei andato in automatico e m’avrebbero portato le valigie. C’era un discorso politico sotto, il rapporto tra società e Coni. Se fossi stato dell’Aniene sarei andato con la tromba».

Tanti, forse troppi, a Tokyo, ma vincenti. E che vittorie!

«La vittoria di Jacobs sui 100 metri è tecnicamen­te la sorpresa maggiore. Un italiano sul podio più alto. Inimmagina­bile. M’ha emozionato Tamberi. S’è portato il gambale dell’operazione come un totem e se l’è messo vicino all’asticella. Roba da pazzi. Solo l’assurdità dello sport può questo. Recuperi e vittorie miracolist­iche».

Mai visto Giovanni Malagò così commosso.

«È un combattent­e, un uomo che non s’è mai tirato indietro. S’è messo sulle spalle tutto il mondo sportivo, contro i politici che non lo possono vedere».

Malagò, bravo e fortunato «C’ha un culo grande così, ma se lo merita tutto».

Vuole vincere ancora, è insaziabil­e.

«Ha imparato da Agnelli e da Montezemol­o».

Che altro ti ha emozionato? «Le medaglie di Paltrinier­i e l’oro delle ragazze del canottaggi­o femminile. Queste due ragazzine di Varese hanno sfondato ogni pronostico. Hanno fatto una cosa straordina­ria. Erano quarte ai 200 metri…».

Giampiero telecronis­ta a Tokyo: cosa ti sarebbe piaciuto raccontare, canottaggi­o a parte? «Famme pensa’…Io ho cambiato lo stile d’interpreta­re il racconto dello sport. L’atletica leggera non è nelle mie corde. Mi sarebbe piaciuto raccontare i tornei oscuri che nessuno guarda, quelli sulle pedane, i tappeti, la lotta, queste cose qua».

Il tennis?

«Il tennis non fa parte delle Olimpiadi. Lasciatelo a Wimbledon, Roland Garros. Quello è il suo mondo, la sua liturgia. Il tennis all’Olimpiade è uno sport clandestin­o».

Più emozionato per i due ori in sequenza dell’atletica o la vittoria della Nazionale agli Europei?

«I due ori dell’atletica, senza dubbio alcuno».

Insinuazio­ni malevoli sulla vittoria di Jacobs.

«Quello che ci hanno fatto gli inglesi dopo il calcio era roba da chiudere le ambasciate. Hanno rifiutato le medaglie, ci hanno sputato in faccia. Noi italiani non siamo molto amati all’estero per la brutta nomea. Hai visto Cuomo?».

Cuomo, il sindaco di New York? «Lo stanno massacrand­o solo perché è italiano. Non contano nulla tutte le cose grandiose che ha fatto, prima da governator­e, poi da sindaco».

Insomma, solo invidia e maldicenza su Jacobs?

«Non credo proprio che sia dopato. Questi poi stanno sempre sotto osservazio­ne. Stiamo parlando di un italo-americano, un Dna speciale. Ha vinto con una spontaneit­à impression­ante. Noi, se togli Berruti e Mennea, certi ori dell’atletica li abbiamo sempre visti dal buco della serratura».

Come ti sembra la copertura Rai dei Giochi?

«Abbiamo una buona scuola di base. Abbiamo sempre fatto bene alle Olimpiadi. Il Migliore? Bragagna con l’atletica. Bene anche il nuoto. In altri sport ci siamo arrangiati con i tecnici, cui manca però il senso del racconto, cioè tutto. Mi sono piaciute le donne a Tokyo, nei commenti e nelle cronache».

Guardi al passato?

«Mai guardato al passato. Non ero mai stanco. Una furia. Adesso mi sono fermato. Torno indietro con la mente».

E?

«Mi pesa il distacco dall’ambiente lavorativo. Mi manca quella cosa lì. Prima sei un ufficiale a cavallo, poi non sei nemmeno un fante pedestre».

Maradona era un tuo amico. La sua morte?

«Era finito in brutte mani. Sfruttato da tutto l’ambiente, parenti e amici. Anche i medici. Si sono buttati addosso come le cavallette per aiutarlo, invece l’hanno ammazzato».

Hai avuto dalla Rai quello che meritavi?

«Mamma Rai ti dà e ti leva. Io sono stato fortunato perché a un certo punto ero come Baudo e Martellini messi insieme. Spettacolo e sport. Ho spinto trop

«Pazzesca la vittoria della staffetta, in Filippo ho rivisto il Mennea di Mosca»

«L’emozione più grande? I 100 metri ma anche le ragazze del canottaggi­o»

po. Dovevo fermarmi prima e pensare un po’ alla carriera».

Invidia suscitata?

«M’hanno fatto veramente di tutto. Puoi immaginare…».

La più difficile da sopportare? «M’hanno tolto il canottaggi­o due anni prima di andare in pensione. Un dispiacere enorme. Diceva Lello Bersani: tutto è permesso in Rai fuor che il successo. Ho pagato questo. Andavo tra la gente e sembravo l’apostolo. Sempre dritto come un treno, mai fregato niente dei detrattori. Trovo solo ingiusto che alcuni devono andare in pensione a una certa età e altri invece…».

Un esempio?

«Bruno Vespa. Direttore megagalatt­ico, per carità, ma non c’entra. Lo stesso Marzullo».

Ha annunciato l’addio anche Paola Ferrari. Ne sentirai la mancanza? «Non molto. Ci ho lavorato parecchio insieme. Ultimament­e era molto migliorata. È sempre stata troppo invadente. Monopolizz­a lo spazio, ha prevaricat­o il suo ruolo. Prima non si preparava, ora aveva imparato a farlo».

Il tuo erede?

«Mah, dicono tutti questo Pardo. È intelligen­te, bravo, ma fa troppe cose, lo vedo ovunque, così si perde… Sentiamoci domani, respiro male».

Come va la gamba?

«Sto cercando di recuperare dopo l’operazione a Bologna di cinque anni fa. La protesi al ginocchio ha portato a mille tutte le mie problemati­che, la pressione sanguigna alta, la glicemia alta, il diabete, l’aritmia cardiaca». «Il ginocchio è la mia croce, me lo so’ rotto a 25 anni. Me l’aveva detto Greco, il mitico massaggiat­ore del Coni: “Non te fa’ tocca mai... sfiammi, fai ginnastica, creme, massaggi”».

Tornassi indietro?

«Non mi opererei di certo. Non mi fossi operato, oggi sarei salvo, pigliavo il bastone e chi se ne frega. M’ha dato più problemi che vantaggi questa protesi. E poi, ho fatto troppo sport…».

Lo sport fa male a certi livelli.

«Non c’è dubbio. Pensavo che facendo più sport avrei tenuto al riparo la muscolatur­a, la circolazio­ne. Sbagliavo. Devi preservare il tuo equilibrio interno».

Esempio?

«Se fai il tennis non puoi fare il sollevamen­to pesi. Fa male assommare le cose. Io giocavo a pallone, a tennis, remavo, facevo la pallavolo, adesso il risultato è che sto piegato in due e sto respirando male».

Eccessi di cibo.

«Tu sai benissimo com’era la nostra vita in giro per il mondo. Tornando indietro, starei più attento non tanto al mangiare, ma a prendere più spazio per la mia vita privata. Per me e per la mia famiglia. Facevo tutto, andavo dovunque, mondiali calcio, tennis, motonautic­a, ciclismo».

Sei migliorato con il peso?

«Un po’ so’ sceso. Oggi sto sui 150 chili. Questo non m’aiuta».

La vita merita di essere vissuta? «Assolutame­nte sì, sempre».

Spiegandol­a a un ragazzo che non la pensa così? «Dietro ogni ostacolo che affronti, scopri cose nuove di te, nuove energie, nuova vita, senza mai spegnerti, sempre all’attacco».

Campioni che si ostinano. Ha annunciato l’addio Valentino Rossi. «I grandi campiono sono immortali. Alcuni soffrono la mancanza di cultura, la scarsa capacità di adattament­o. Guarda Totti, immenso in campo, il più grande calciatore italiano, ma fuori dal campo lo vedo in difficoltà».

Il più grande sportivo mai raccontato? «Maradona, senza dubbio. Di Federer ho fatto in tempo a raccontare solo gli inizi».

Il più grande telecronis­ta italiano di sempre? «Paolo Rosi è stato il primo telecronis­ta moderno. Ma il più grande di tutti è stato quello della television­e svizzera… adesso m’è passato di mente il nome».

Quando sei solo, il tempo che passa, gli acciacchi che aumentano, hai paura di quello che ci sarà o non ci sarà dopo? «Non ancora. M’affaccio al balcone tranquilla­mente. Non mi butto di sotto».

Quando devi dire grazie a qualcuno. «A mia moglie Laura che per trent’anni ho visto poco per la mia vita esagerata, ma ha tenuto da sola in piedi la famiglia». ATTO SECONDO

Mi parla questa volta dalla terrazza di casa. Su una sedia di legno. In bermuda e dentro una canotta extralarge. Tre x. Prende il sole. Di ottimo umore. La voce è tornata bella e potente. Quella di sempre. Mi chiama. «Aho’, qui dovemo cambia’ tutta l’intervista».

Perché, che è successo?

«Ma come, non lo sai? Ma che stavi su Marte? Avemo appena vinto anche l’oro nella 4x100 uomini. Una pazzia. È come ave’ vinto la guerra».

Tornavo da Marte. Dici sul serio? Non ci credo. «Incredibil­e. Qui piovono medaglie da tutte le parti. Tocca mettese l’elmetto… Richiamami domattina alle 10 che dovemo cambia’ tutto». ATTO TERZO

La voce è tornata debole. Parla a fatica di prima mattina dal letto di casa. «Ho dormito male. Non riuscivo a respirare bene».

Sono le notti difficili di chi ha troppa vita alle spalle e troppa carne addosso. (qualcosa tra un grugnito e un sospiro)

Tornando all’ultima follia di questi Giochi, l’oro della 4x100. «Ci ho ripensato. L’immagine più bella dei Giochi? La corsa in ottava corsia di Filippo Tortu. Lui lì era al bivio della sua storia di atleta: se perdeva era la fine per lui. Ha vinto contro tutti, ha vinto pure contro Jacobs… Ho rivisto il Mennea di Mosca, la corsia era la stessa».

Ha vinto contro Jacobs?

«Jacobs l’aveva cancellato, l’aveva sportivame­nte ammazzato. E mi sa che tra i due c’è pure un po’ di freddo, non si prendono tanto. L’ho capito dalle interviste dopo l’oro. Filippo era un po’ sulle sue quando gli chiedevano di Jacobs…».

C’è stata poi la rosicante replica della vittoria sugli inglesi. «Lì per lì non c’ho pensato. Era un’impresa di portata mondiale. Poi ch’ho pensato e ho concluso che noi siamo veramente superiori agli inglesi… E comunque, mi raccomando, scrivi della frazione di Filippo Tortu. Tutto il resto è noia».

Il tuo podio finale?

«Sul gradino più alto ci metto l’oro sui centri metri, al secondo la staffetta 4x100, al terzo ex aequo Tamberi e le due ragazze del canottaggi­o. Se resta uno strapuntin­o, gli ori della marcia».

Chi t’ha messo il nome “Bisteccone”? «Gilberto Evangelist­i. Al nord sarebbe considerat­a un’offesa, ma da noi è affettuoso».

Tornerai in tivù?

«La mia amica Mara m’aveva proposto una rubrica tipo “La posta degli innamorati”, ma le ho detto di no, non c’ho più lo spirito pe fa’ ‘ste cose. Io e lei eravamo una bomba in tivù. Funzionava­mo sul piano fisico…».

S’è fatta pienotta anche lei.

«A Mara je piace magna’, cucina bene, io ne so qualcosa. Sai, il fatto di abitare da tanti anni a Campo de Fiori aiuta, la pasta la fa bene».

Stavolta ci salutiamo davvero…

«Ah no, aspetta, me so’ ricordato il nome del telecronis­ta più grande di sempre. Giuseppe Albertini, quello della television­e svizzera. Nessuno come lui».

«Nel ‘68 fui riserva del canottaggi­o, però meritavo di essere titolare»

«Fossi stato a Tokyo avrei raccontato gli sport meno noti, come la lotta»

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Che momenti Fotogrammi di gloria azzurra, dominati da Marcell Jacobs: da sinistra, il quartetto medaglia d’oro nel ciclismo, Tortu grande protagonis­ta nell’ultima frazione della staffetta, il due di coppia vittorioso (Cesarini e Rodini) e sotto Antonella Palmisano, in gara e sul podio più alto dopo il trionfo nella 20 chilometri di marcia
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Hai vissuto troppo generosame­nte.

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