Grazie anche a Mei
ma anche umani consentendo a non pochi, tolti dalla necessità e rimpannucciati, di illustrarsi al meglio secondo capacità.
Parlo poi di quello straordinario campione del ciclismo su pista d’antan capace, al Vigorelli, quando ripreso televisivamente in diretta, di fermarsi in surplace per almeno venti minuti proprio accanto alla grande scritta pubblicitaria che di traverso alla pista riportava, guarda caso, il famoso marchio dell’industriale predetto.
Parlo della volta che, avendo i due deciso una incursione al casinò (e non vi dico quale), il primo passò a prendere il secondo con una Mercedes nuova di pacca.
Parlo del fatto che - così vanno le cose e il mondo - chissà perché?, il campione ciclista, salendo in macchina, se ne uscisse con un “Commendatore, sento che troveremo il 27 in calore” per sentirsi rispondere “Va bene. Lo giocheremo”.
Parlo del fatto che, entrato nel privé, il ‘cumenda’ ebbe in effetti a caricare per i massimi il 27 alla roulette.
Parlo del fatto che quel benedetto numero uscì subito.
Parlo del fatto che a quel punto il Nostro tirasse fuori le chiavi della citata nuova di pacca Mercedes e la desse all’ispiratore del botto dicendogli “Antonio (ebbene, almeno questo: si chiamava così) l’auto là fuori adesso è tua”.
Parlo del fatto che a quei tempi cose del genere succedevano e adesso non più. Maledizione!».
E io parlo del fatto che conobbi di persona i due personaggi che si chiamavano - se non erro! - Antonio Maspes e Giovanni Borghi. Il cumenda lo incontrai una volta nel privé del Casinò di Montecarlo dove… soggiornava. Poco prima, direi alla Curva del Tabaccaio, avevo tamponato con la mia Cinquecento la Jaguar di Orfeo Pianelli, ricavandone danni notevoli. Miei.
PS. Non rispondo al quesito tecnico su Filippo Ganna. C’è troppa voglia di campioni-subito, in questo ciclismo. il raggiungimento di un obiettivo comune. In questa gara convivono due componenti: quella individuale, ovvero gli atleti che corrono la propria frazione, e quella di gruppo, che avviene con i cambi. La perfezione delle 2 componenti, ha come risultato la riuscita della gara. Un ruolo importante lo ha anche il coach: nella scelta dei 4 componenti, non è detto che debba scegliere i più veloci. Per vincere, serve l’armonia del gruppo perché ciò che veramente conta non è la velocità del singolo, ma quanto va veloce il testimone che passa da una mano all’altra. La staffetta 4x100 ha infatti una grande difficoltà di esecuzione per i tempi rapidissimi in cui si svolge il passaggio del testimone: in questi cambi, gli atleti devono mantenere un alto controllo emotivo e tecnico. Per far parte della staffetta è necessario quindi possedere competenze “hard”, ovvero velocità e coordinazione nonché competenze “soft”, quali spirito di collaborazione e di affiliazione che non sempre sono presenti in tutti gli atleti. La staffetta degli italiani ha dimostrato che nella velocità a squadre, siamo i migliori al mondo: la capacità di essere “team” ha fatto la differenza. Quel distacco infinitesimale con cui l’Italia ha vinto, è quel centimetro di potenza esplosiva e non una circostanza favorevole, è il principio d’innesco del centimetro di forza mentale che ciascuno di noi possiede, ma pochi riescono ad utilizzare. È ciò che fa la differenza in ogni circostanza: c’è chi rinuncia all’utilizzo del proprio potenziale, c’è chi lo riconosce e lo impiega a proprio vantaggio. Brava Italia, bravo e bentornato Filippo Tortu e grazie per quel centesimo.
Caro Cucci, dopo gli incoraggianti Europei dello scorso maggio (secondo posto nella Super League) e le varie kermesse giovanili, l’Italia dell’Atletica Leggera si conferma alla grande a Tokyo. Il merito ovviamente è anche della precedente gestione e del prezioso lavoro di Baldini con le nuove leve, ma i miei elogi vanno al neo presidente Stefano Mei che è partito col piede giusto... sicuramente fortunato, ma anche vincente e competente.
Il “maestro” Neri - rigoroso e fascinoso insieme - è stato il mio insegnante di Educazione Fisica alla Scuola Media di Rimini. Con poco entusiasmo ho tuttavia primeggiato nella corsa campestre e nel salto in alto. Scrivere, cantare, amare e ballare mi hanno traviato ma lo sport non ha perso nulla. Ho detto “fascinoso”, aggiungo straordinario campione. A Los Angeles conquistò 3 ori: nel concorso generale individuale, alle parallele e in quello a squadre. Diventò personaggio quando Hollywood gli offrì la parte di Tarzan nei film della MGM; preferì tornare a Rimini e il suo posto fu preso dal leggendario olimpionico di nuoto Johnny Weissmuller. A Berlino 1936 Neri si infortunò e diventò istruttore fino a Helsinki ‘52. Scoprì Franco Menichelli, facendolo esordire in Nazionale nel 1957, a soli sedici anni. Non fece in tempo ad applaudirlo campione olimpico a Tokyo ‘64. Di quella felice stagione riminese ho conservato il ricordo di un altro maestro - mio insegnante al Liceo Classico “Giulio Cesare” - al quale ho dato poco ascolto negli esercizi ginnici mentre mi ha insegnato a vivere, Eugenio Pagnini, da noi ragazzi chiamato “Olympic Gen”, praticamente inventore del Baseball italiano che inserì nelle lezioni in versione softball finché il Liceo non ebbe la sua squadra con giocatori che si laurearono Campioni d’Italia e Rimini prese posto accanto a Nettuno e Parma. Pagnini, pentatleta, esordì nei Giochi di Amsterdam 1928, fu poi a Los Angeles 1932 gareggiando nell’equitazione, nella scherma, nel tiro a segno, nel nuoto e nella corsa senza vincere medaglie. Anni fa l’ho ricordato in un libro dedicato allo sport riminese firmato anche - e soprattutto - dai concittadini Sergio Neri, Gianni Bezzi e Sergio Zavoli, il mio amico fraterno che ci ha lasciati un anno fa.