Il rumorino dei nemici
Lo sport più antico del mondo, il tiro al bersaglio. Bersaglio comodo José Mourinho. Troppo comodo. Lui, la sua Roma e i due Friedkin nell’ombra, peraltro più cercata che subita. Da quel 2 luglio assolato all’aeroporto di Ciampino, trasformato per qualche ora in una Lourdes molto pagana. Quaranta giorni, non si svezza nemmeno un gattino.
Lo sport più antico del mondo, il tiro al bersaglio. Bersaglio comodo José Mourinho. Troppo comodo. Lui, la sua Roma e i due Friedkin nell’ombra, peraltro più cercata che subita. Da quel 2 luglio assolato all’aeroporto di Ciampino, trasformato per qualche ora in una Lourdes molto pagana. Quaranta giorni, non si svezza nemmeno un gattino, ma bastano e avanzano per mollare sentenze, insinuare dubbi, agitare sospetti. Chi lo fa con rarefatta eleganza, chi ci va giù pesante. Cambia lo stile, ma non la sostanza. Si pesca nel torbido e, se il torbido non c’è, s’inventa. Da quella nuvoletta rosa, con quella meravigliosa nonchalance non meno rosa e flou, ma direi anche un po’ cazzona, per cui tutto e il contrario di tutto si può dire a distanza di un mese (ma anche di un giorno), senza che nessuna spiacevole conseguenza arrivi a ricordarci che le parole hanno un peso. Magari minimo, come i due etti del miracolato neonato di Singapore, ma ce l’hanno.
Mou sa di caramella, è un’irresistibile tentazione. Lo aspettavano al varco i cecchini. Hanno esitato un po’, giusto il tempo di caricare la cerbottana. Va detto che José se l’è cercato il plotone d’esecuzione, rovescio speculare delle folle ai piedi, quel giorno in cui, a Londra, si è definito “Special” da solo. Accettando la sfida quasi impossibile di dover essere all’altezza del nome che si era dato, di un destino che non diventasse farsa. Sfida vinta, una, due, infinite volte. Ma che lo Special dovrà vincere ogni volta, fino a che camperà sopra e sotto la panca. Ecco la condanna. A Milano era un dio. Ora che sta a Roma, dopo nemmeno un mese, un patetico anziano che sa di muffa e replica stancamente se stesso non avendo più nemmeno l’avvenenza per farlo. A uno come lui, cui piacciono da matti le sfide, questa è la madre di tutte le sfide. La sfida dei vari matti. Da stravincere. A costo di morire, se si ha cuore l’unica opera che conta, quella della propria storia. Un esaltante tornare alle origini. Come quando, sulla panchina del Porto e una squadra di soldatini pressoché anonimi, sbatacchiò prima il Benfica e poi tutta Europa nello stupore del generale e del colonnello.
L’insinuazione serpeggia, galoppa, carica. Mou tace, Mou è scontento, Mou è già pentito. Mou che, la notte, nel suo pigiama, dice a se stesso: chi me l’ha fatto fare. E, comunque, se non è Mou pentito, è progetto abortito, forse mai nato e tifosi, naturalmente, già inclini al brontolio. Per caricarsi un po’ e anche perché gli piace tanto la formulazione, Mou lo chiama “il rumore dei nemici”, in realtà è molto meno. La verità? José in quaranta giorni ha già fatto miracoli. Uno almeno, con certezza. Ha trasformato una banda di bravi boyscout la cui massima aspirazione, con il loro allenatore, era prendere dieci in condotta o una pacca sulle spalle dal trombone di turno, in un mucchio di belve, persino eccessivo. Sono gli stessi di Fonseca, allo stesso tempo radicalmente diversi. Stessi i cognomi, non le facce e l’attitudine in campo. È chiaro, alla luce della selvaggia Siviglia, vanno un po’ sfumati, resettati, ma il miracolo resta. Non siamo qui a celebrare le risse in mancanza del talento. Quei cartellini rossi sono maleducati, ma sono la magnifica introduzione di una storia nuova. Che sarà magnifica o forse no. Ma, certamente, sarà.