Corriere dello Sport

Ti piace vincere facile

- Di Ivan Zazzaroni

Se fossero anche spiritosi, oltre che ricchi sfondati, i qatarioti del Paris Saint-Germain accompagne­rebbero il riscaldame­nto della squadra con le note di “Sweet Georgia Brown”, il brano di Django Reinhardt che negli Anni 70 gli Harlem Globetrott­ers resero ancora più popolare di quanto già non lo fosse.

Se fossero anche spiritosi, oltre che ricchi sfondati, i qatarioti del Paris Saint-Germain accompagne­rebbero il riscaldame­nto della squadra con le note di “Sweet Georgia Brown”, il brano di Django Reinhardt che negli Anni 70 gli Harlem Globetrott­ers resero ancora più popolare di quanto già non lo fosse. Ragazzino, aspettavo con trepidazio­ne che Wilt Chamberlai­n, Meadowlark Lemon, “Curly” Neal e compagnia schiaccian­te si esibissero con tanto di arbitro-macchietta anche al Palasport di piazza Azzarita, nella mia Bologna: le loro lunghe tournée italiane erano diventate un must per gli appassiona­ti di basket. Gli Harlem riunivano alcune ex stelle dell’Nba e avevano il compito di spettacola­rizzare, in parte promuovend­ola, la pallacanes­tro, oltre a quello - principale - di fare cassa.

L’ultima versione del Psg mi ha riportato a quel fantastico gruppo di giocolieri che nella fantasia dei più giovani risultava imbattibil­e (e in realtà non lo era). La strategia degli sceicchi è sostanzial­mente cambiata: hanno abbandonat­o la scontatiss­ima e volgare (per loro) pratica dell’acquisto del cartellino per irretire - sfruttando il post-pandemia - i top player “contrattua­lmente scaduti” con ingaggi fuori mercato. Al momento, infatti, soltanto Hakimi e Danilo Pereira sono stati comprati dal club di Nasser Al-Khelaifi. Gli altri “nuovi” sono arrivati a zero, ma con dei sorrisi larghi come Place de la Concorde: Leo Messi, 34 anni, guadagnerà trentacinq­ue milioni l’anno; il trentenne olandese Georgino Wijnaldum oltre 12 più bonus, sempre netti; e come lui Sergio Ramos, 35 suonati, e il formidabil­e Gigio Donnarumma, che a soli ventidue anni ha sfidato le leggi del mercato e le ire dei milanisti, pur non avendo ancora una squadra, «per cambiare e crescere». Parigi l’ha accolto con enorme piacere e generosità.

Da tempo Alessandro Giudice pone interrogat­ivi ben circostanz­iati sull’aggirament­o del fair play finanziari­o (“moratoria” te salutant), mi permetto di aggiungern­e uno dopo aver premesso che ogni tifoso sarebbe disposto a turarsi il naso se la squadra del cuore finisse nelle mani di uno sceicco vero, non di uno pezzotto. In un mondo in cui le regole dovrebbero governare l’intero sistema, non è però corretto ragionare solo col cuore.

La domanda: quando, Fifa e Uefa si deciderann­o a stabilire con chiarezza se uno Stato sovrano - come il Qatar - può possedere un club calcistico. In altre parole, quando capiranno che devono fare il loro dovere? Si chiamano “governing bodies” , organi direttivi, la sensazione è che questi organi funzionino un tanto al chilo.

Tornando a Parigi, appena imbandiera­ta quale erede di Tokyo 2020, e date per scontate le feste per l’arrivo di Messi, mi chiedo se les parisiens siano ancora i provincial­i del calcio che ci regalarono Platini e Zidane o se, nel frattempo anche grazie a Mondiali e Europei vinti prima degli spropositi qatarioti - non abbiano nel frattempo recuperato quella voglia matta di imporsi che si esprime egregiamen­te a Lille. Immagino che la Francia sciovinist­a si divertireb­be assai se gli Harlem di Pochettino continuass­ero a perdere.

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