Sono tutti vincitori già prima di giocare
Spesso arrivare alle Olimpiadi è più difficile che disputarle. Tornei di qualificazione, ranking internazionali, crisi politiche, l’infortunio dietro l’angolo. Ma se parliamo di paralimpici gli ostacoli si moltiplicano a dismisura e partono da lontano. Dal contesto in cui si cresce alle barriere architettoniche e culturali disseminate nelle nostre città e nella nostra società. In alcuni casi occorre sconfiggere la rassegnazione e la vergogna (per cosa?), in altri accettare le conseguenze di un incidente. In questo la Paralimpiade che sta per cominciare, così come quelle del passato e in particolare Londra 20212 e Rio 2016, possono avere un effetto dirompente, portando nelle case di tutti gli esempi virtuosi di chi certe prove, certe paure le ha già superate.
Monica Contrafatto, caporal maggiore scelto dell’Esercito che perse la gamba destra durante un attacco dei talebani in Afghanistan, è il simbolo di tutto ciò. Giaceva in un letto d’ospedale quando vide Martina Caironi vincere i 100 metri T42 alla Paralimpiade di Londra e quel giorno decise che ci avrebbe provato anche lei. E’ stata bronzo sulla distanza a Rio 2016 e sarà ai blocchi anche a Tokyo. Ne è passato di tempo dalla pionieristica edizione di Roma 1960, riservata esclusivamente agli atleti in carrozzina...
Proprio l’edizione londinese è stata la chiave di volta che ha proiettato il mondo dello sport dei disabili in una nuova dimensione. Da allora personaggi come Alex Zanardi e Bebe Vio, Monica Caironi e Oney Tapia, Assunta Legnante e, più di recente, Simone Barlaam, ma anche la tragica parabola di Oscar Pistorius, hanno squarciato il velo che nascondeva questi atleti e le loro storie agli occhi del mondo dei normodotati. Hanno scatenato un dirompente effetto emulazione, hanno mostrato a tanti disabili e alle loro famiglie che un’altra vita è possibile, che si possono comunque realizzare i propri sogni. «Quando mi sono risvegliato senza gambe (dopo l’incidente del Lausitzring in Formula Cart, nel 2001; ndr) ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa» disse un giorno Zanardi. Un disabile che fa sport si è così trasformato nella percezione collettiva in quello che a tutti gli effetti era già: un atleta. E la sua disabilità è passata in secondo piano rispetto alle sue imprese e alla sua personalità.
Da domani a Tokyo si comincerà a fare sul serio. Si conteranno i record e le medaglie. Con una certezza: questi ragazzi, tutti, un oro l’hanno già vinto. Quello della vita.