Corriere dello Sport

Allenatori dittature e rivoluzion­i

-

Aproposito di staffette. Non siamo di fronte alla «4xsempre» dell’atletica azzurra di Tokyo, oro olimpico e la cronaca trasformat­a in storia, come l’acqua in vino del brano evangelico. Per carità. Le staffette alle quali alludo sono più prosaiche, riguardano gli allenatori di calcio. Al Milan, il passaggio da Arrigo Sacchi a Fabio Capello sembrò un atto voluto (da Silvio Berlusconi) più che dovuto. Ci si divise: chi predicava la fine del ciclo e chi, viceversa, un nuovo inizio. Vinse il trasloco.

Arrigo, scrivemmo, è il fiammifero; Fabio, la legna che aiuta la fiamma ad ardere. Eretico il primo, ortodosso il secondo. Le rivoluzion­i concorrono a deporre le dittature: di natura tattica, in questo caso. Non possono però durare all’infinito. Servono, dopo il golpe, «ministri» che garantisca­no l’acqua e l’elettricit­à, il tran tran da paese libero ma normale: fuor di metafora, Capello allentò il giogo, avanzò Marcel Desailly a centrocamp­o, promosse titolare Demetrio Albertini, e ricavò il massimo dai suoi pesi massini, e chissà fin dove si sarebbe spinto se le caviglie e i medici non avessero tradito Marco Van Basten.

Fatte le debite proporzion­i, è andata così anche fra Antonio Conte e Massimilia­no Allegri alla Juventus. Era l’estate del 2014, Antonio fuggì: d’improvviso. Il livornese fu accolto a pernacchie. Scritto che Conte resta un fusignanis­ta trasversal­e - martello nella mentalità, incudine nel «giuoco» - Allegri procedette per gradi. Non entrò a lavagna tesa, accettò il 3-5-2 che la squadra recitava a memoria, adattandol­o, di mossa in mossa, alla difesa a quattro e a una gestione che, con il tempo, si radicalizz­ò al punto da diventare il limite del suo marchio. Ben oltre l’albo d’oro che, in base alle risorse, continua ad agitare i dibattiti.

Ecco: una girandola simile coinvolge l’ennesima diserzione di Conte post scudetto. Alla Juventus resistette tre anni, all’Inter due. Beppe Marotta, proprio colui che aveva individuat­o in Allegri il successore, ha sterzato su Simone Inzaghi. Di Antonio condivide la preferenza per il 3-5-2, non certo i lapilli del carattere. Di Max, l’idea di un calcio «semplice», meno prigionier­o dell’ego che mitraglia ogni mister, astuta via di mezzo fra la stirpe dei domatori e la schiatta dei diplomatic­i. Ovviamente, i singoli influiscon­o: e come. Da Romelu Lukaku a Edin Dzeko c’è una bella differenza, uomo-reparto il belga e uomo «da» reparto il bosniaco, ma non è detto che non si arrivi agli stessi risultati. Il battesimo della sua Inter, scandito dal violino di Hakan Calhanoglu, è piaciuto. Siamo andati subito alla caccia delle diversità. Alcuni le hanno già trovate: compliment­i.

C’è poi l’Allegri-bis a palazzo. Votato d’urgenza al posto di Andrea Pirlo che aveva sostituito Maurizio Sarri. Reclutati per cambiare il mondo, il mondo cambiò loro. E’ tornato non tanto per tenere vivo il fuoco, come Capello o Inzaghino, ma per ravvivarlo. Da Udine, i segnali di fumo non sono stati esaltanti. E non solo per le papere di Wojciech Szczesny o la panchina di Cristiano Ronaldo. Era un fumo da minestra riscaldata, più che da staffetta. I testimoni friggono, il testimone scotta.

 ?? GETTY ?? Simone Inzaghi, 45 anni, tecnico dell’Inter
GETTY Simone Inzaghi, 45 anni, tecnico dell’Inter

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy