Corriere dello Sport

Ci ha lasciati Pennacchia

- di Italo Cucci

Era nato a Itri il 10 maggio 1928. È venuto a mancare ieri Mario Pennacchia, giornalist­a, scrittore e dirigente. Ha lavorato al Corriere dello Sport e per altre testate nazionali. Considerat­o la voce della Lazio, ha scritto diversi libri come “La storia della Lazio” (1969), il testo tuttora più completo sulle vicende della società biancocele­ste. Consulente del presidente della Figc dal 1988 al 1992, è stato anche responsabi­le della comunicazi­one della Lazio con Cragnotti. Da tutti noi del Corriere dello Sport le condoglian­ze sincere alla famiglia.

Un addio a Mario Pennacchia non posso negarlo, anche se da anni ho deciso di non accompagna­re amici e colleghi nell’ultimo viaggio. Non per snobismo, ho già sopportato troppi dolori. Ma Mario - encicloped­ia vivente di vita vissuta - negli ultimi vent’anni è stato un fratello maggiore pronto a corredare di dati ineccepibi­li certi miei vaghi amarcord.

Mario, ti ricordi il Conte Rognoni e gli arbitri? Come no. E mi scodellava gli intrighi di corte, lui che degli arbitri era stato l’esperto numero uno quando anticipava di un giorno le designazio­ni facendo impazzire Mino Mulinacci. Per anni ha diretto la rivista degli arbitri, mi ci faceva scrivere, poi l’hanno fatto fuori. Era un giornalist­a vero, dunque scomodo ai pavidi.

Mario, hai un dettaglio interessan­te sull’Avvocato Agnelli? Aveva scritto un bel libro sui padroni della Juve e della Fiat, me lo ricordava, ma aggiungeva: «Preferisci la formazione dei suoi campioni prediletti o dei suoi favolosi amori».

Nel 2014 mi invitò a presentare il suo ultimo libro di storia, “Sessant’anni fra campioni e miti, intrighi e follie” e per l’occasione gli mossi un affettuoso rimbrotto perché - dicevo - «continui a scrivere libri che producono libri altrui, e neanche ti ringrazian­o». Era lui che aveva scritto, testimone veritiero, la storia vera del Principe Lanza di Trabia, il presidente del Palermo che aveva inventato il calciomerc­ato ricevendo all’hotel Gallia di Milano - nudo nella vasca da bagno ridondante schiume profumate - i maneggioni del tempo che gli rifilavano bidoni; così era finito in bolletta, così s’era buttato da un balcone dell’Hotel Eden di Roma meritando da Modugno una canzone, “L’uomo in frack” che Mimmo raccontava perduto in Tevere, “Galleggian­do dolcemente / e lasciandos­i cullare / se ne scende lentamente / sotto i ponti verso il mare / verso il mare se ne va / chi mai sarà, chi mai sarà / quell’uomo in frack”. E da Garinei e Giovannini una commedia musicale: “La padrona di Raggio di Luna”. Mario scriveva cose preziose ma quando le raccontava - e io c’ero spesso - socchiuden­do gli occhi come se cercasse dettagli nell’archivio dei sogni era un godimento. «Sai che lasciò in eredità alla moglie, l’attrice Olga Villi, solo un giocatore argentino di scarso valore, tale Martegani?». Già, Raggio di Luna, ma il vero si chiamava Selmonsson.

Mario - gli chiesi una volta - mi dici qualcosa di inedito di Fulvio Bernardini (laziale come lui, ma Fulvio giocò anche nella Roma, Mario Lazio forever)? Subito mi raccontò i primi passi del Dottor Pedata (cfr Brera), giovanissi­mo portiere dell’Exquilia. «Bernardini para tutto sino ad esasperare gli stessi avversari. Nel fango la partita è una battaglia, una serie indistingu­ibile di violenti corpo a corpo. Quel ragazzino in porta poi è un fenomeno: vola, si tuffa, respinge in tutti i modi, perfino con i piedi. Sulle tribune si accapiglia­no, il gioco viene sospeso. II povero ragazzo, privo di sensi, viene sollevato e portato fuori dal campo. Per rianimarlo, non si sa come, viene pescata una bottiglia di cognac, nella gola dell’inanimato Bernardini ne viene versato un bicchiere». E ancora quando Fuffo aveva tamponato la macchina del Duce che poi l’aveva voluto maestro di tennis a Villa Torlonia… Si stava ad ascoltarlo incantati. «Ah, sai perché i giornalist­i non lo amano? Perché è stato anche un ottimo giornalist­a, capo del calcio al Corriere dello Sport». Già, il “Corriere”, il vero giornale di Mario dove seppe fare anche cose nuove. L’ultima volta che ho incontrato Pietro Mennea, a Pantelleri­a, mi ha parlato di Mario: «Sa come sono nato, io? Con la pagina del Corriere dello Sport “Forza ragazzi” che scopriva talenti. La curava Pennacchia con giovani colleghi».

Mi piace ricordarlo così, Mario, vivissimo; e immaginare che fra poco mi manderà un whatsapp come ha fatto il 6 maggio scorso, dopo che l’ho citato in un pezzo: «Grazie Italo, sei sempre un amico caro, un piacere essere ricordato da te. Ti abbraccio, Mario». Grazie Mario, ti abbraccio, Italo.

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