Crisi chip: tagli alla produzione dal 20 al 40%
Ormai il danno comincia a diventare rilevante. Anzi, di più: drammatico. Molto più rilevante e drammatico rispetto a quello che tutti si aspettavano. La famosa crisi dei chip, quella per intendersi dei semi conduttori, indispensabili per la tecnologia delle nuove auto, sta infliggendo colpi pesanti, quasi da ko all’industria mondiale dell’auto. Cominciata a causa dell’inevitabile contrazione dell’offerta durante il primo lockdown causato dalla pandemia e aggravata nel marzo scorso da eventi negativi come l’incidente al Canale di Suez e l’incendio a uno dei più grandi produttori mondiali , ora ha assunto dimensioni davvero inquietanti, con le ultime stime degli analisti di AlixPartners che parlano di una proiezione per fine 2021 di danni per 100-110 miliardi di dollari e di 4 milioni di macchine in meno sul mercato. Stime e numeri, a nostro parere, al ribasso, vista anche la tendenza delle ultime settimane, sempre più preoccupante. Se, infatti, a fine luglio era trapelato un certo ottimismo, specie sul fronte cinese, al punto che il n.1 della Saic prevedeva un ritorno anticipato alla normalità nel quarto trimestre dell’anno, il riacutizzarsi della crisi pandemica, con l’aumento esponenziale dei contagi in tutto il Sud-Est asiatico (Thailandia, Vietnam, Malesia e Indonesia, su tutti), non ha solo bloccato l’ottimismo ma aumentato il disagio e amplificato i problemi che si stanno concatenando a quello originario. Uno su tutti, quello della logistica, con il costo dei container salito alle stelle fino quasi ai 20.000 dollari. La reazione delle Case? Inevitabile. Si è cominciato a ridurre l’orario di lavoro nelle fabbriche, fino ad arrivare al blocco del lavoro. Altri hanno iniziato a pensare all’autarchia, producendo i chip in proprio, mentre altri ancora hanno reintrodotto i cruscotti analogici al posto di quelli digitali privati degli indipensabili chip, al netto dello sconto che poi verrà garantito in concessionaria. Ad esempio, gli stabilimenti Volkswagen erano pronti a un riavvio irregolare dopo la solita pausa estiva. Il colosso tedesco, che a fine luglio aveva annunciato utili operativi semestrali tornati a livelli pre-Covid (a 11,4 miliardi di euro) e può contare sull’impianto di Wolfsburg, il più grande al mondo che impiega circa
60.000 persone, è ripartito questa settimana con un solo turno fino a venerdì, presso tutte le sue linee di produzione con il lavoro a orario ridotto. Con il portavoce VW costretto a confermare le voci che ormai stavano circolando da tempo: «La situazione di tensione nell’offerta di semiconduttori continua a creare interruzioni in modo significativo nella produzione auto globale».
La stessa Audi, il maggior contributore di profitti del gruppo, prolungherà la pausa estiva di una settimana nei suoi due stabilimenti in Germania a causa della fornitura di semiconduttori che rimane «volatile e tesa».
Quanto a Toyota, aveva resistito all’impatto della pandemia, restando relativamente indenne dalla carenza di semiconduttori rispetto ai suoi rivali per essere stata capace di fare per tempo una consistente scorta degli ormai famigerati chip-semiconduttori, tanto che nei primi sei mesi del 2021, il costruttore di Nagoya aveva tenuto la leadership mondiale per vendite, battendo la stessa Volkswagen.
Nonostante questo, a metà della scorsa settimana, Toyota ha annunciato un consistente “taglio” della produzione globale di settembre, che scenderà del 40% : dai 540.000 veicoli pianificati all’inizio alle attuali360.000 unità. Nonostante i tagli alla produzione, la compagnia ha stimato di poter mantenere l’obiettivo di 9,3 milioni di veicoli assemblati per l’anno fiscale 2021, che si chiude a marzo 2022, pur in uno scenario particolarmente incerto, dove comincia a pesare anche il costo delle materie prime.
Numeri questi che hanno avuto anche effetti in Borsa, con Toyota che nei giorni scorsi è scesa del 4,1% (ai minimi del 2021, sempre a Tokyo) , mentre Volkswagen ha registrato -1% a Francoforte. Questo, senza dimenticare che i due colossi avevano beneficiato di utili e vendite record, grazie alla ripresa di mercati chiave come Nord America, Cina ed Europa. Ma adesso la carenza globale di semiconduttori ha offuscato le prospettive per l’industria dell’auto che finora aveva beneficiato proprio dell’aumento della domanda di veicoli di pari passo con la riapertura delle economie dopo il blocco anti-pandemico.
Oltre a Toyota, anche altre Case nipponiche come Honda sono state costrette a frenare la produzione. Nissan, ha stimato un taglio di circa 250.000 unità per l’anno fiscale 2021, mentre la stessa Suzuki arriverà a quota 350.000. Mazda non fa numeri ma per 10 giorni ad agosto ha fermato gli stabilmenti in Messico e Thailandia Un discrso che vale anche per Daimler, che ha mandato di nuovo per qualche giorno migliaia di lavoratori in cassa integrazione nell’impianto di Brema, sempre a causa della carenza di chip. La compagnia aveva appena riavviato la produzione. Le interruzioni hanno recentemente riguardato, a singhiozzo, anche le fabbriche di Rastatt, Siendelfingen e quella di Kekskemet, in Ungheria. Ammesso che tutto questo finisca presto, gli analisti sostengono che la crisi dei chip produrrà effetti almeno per tutto il 2022, nella speranza che si possa tornare alla normalità non prima del 2023. Sempre che gli interventi dei governi (Biden pensa ad un finanziamento da 50 miliardi di dollari) riescano ad agevolare una rinascita ad ora complessa.