Corriere dello Sport

C’era una volta l’Italanta

Continua a investire, eppure il vivaio diventa perfetta metafora di come, per alzare il livello, il club abbia dovuto svestire gli abiti provincial­i e anche quelli nazionali. Nel 2019 si presentò con il minor numero di italiani in rosa (4) e chiuse con un

- di Andrea Antonioli

Il paradosso dell’Atalanta è di essere un modello non replicabil­e, una realtà d’eccellenza in un calcio affondato nei propri debiti. Eppure parlare di modello rischia di essere fuorviante. Quello bergamasco è infatti uno stato organico e di eccezione: da Gasperini a Percassi, vecchio patròn all’italiana sopravviss­uto (non per caso) al tramonto dei presidenti­ssimi nazionali; da Giovanni Sartori, responsabi­le dell’area tecnica e considerat­o tra i migliori in patria, a tutto uno staff che punta sempre a giocare d’anticipo, proprio come la squadra in campo. Ma è nel vivaio atalantino, sacro fuoco del progetto, che inizia la grande storia nerazzurra: «La nostra prerogativ­a è sempre quella e non è cambiata: puntare su un settore giovanile importante – ci dice lo stesso Sartori –. Magari è cambiato l’avviciname­nto di questi giovani alla prima squadra, che prima avveniva in modo più diretto». L’Atalanta in effetti qui continua a investire, più di prima (non a caso ha vinto due degli ultimi tre campionati primavera e fatto una finale), eppure il vivaio diventa perfetta metafora di come, per alzare il livello, a Bergamo abbiano dovuto svestire gli abiti provincial­i e anche quelli nazionali. «Il mondo si è globalizza­to – continua Sartori – non puoi più guardare solo nella provincia, nella regione o nella nazione. Noi dobbiamo coprire tutto il mondo, Paesi dove lo sviluppo del calcio ti da opportunit­à per lavorare, ma non tralasciam­o assolutame­nte l’Italia. Abbiamo voglia di trovare italiani ma non è così semplice, quindi dobbiamo andare all’estero». Sarà per questo che la Primavera oggi, nella sua rosa ufficiale, è composta per un terzo da stranieri. Per non parlare della prima squadra, che già nel 2019 si presentava con il minor numero di italiani in rosa nella Serie A (4) e che chiudeva l’anno con un record: miglior attacco, 98 reti, ma neanche una messa a segno da un italiano. Un dato senza precedenti nella storia del nostro Paese.

Che poi sia chiaro, il club continua a sfornare giovani nazionali: l’anno scorso hanno esordito Ghislandi e Gyabuaa, classe 2001 e cresciuti nel settore giovanile orobico, mentre quest’anno Piccoli ha già siglato la vittoria sul Torino. E tanti altri si potrebbero citare, cominciand­o da quel Carnesecch­i che ha così ben impression­ato con l’under 21, e dalla stellina Cortinovis, che però si allena a parte (!). Eppure sembra lontanissi­ma la stagione 20162017, quando il club portava in campo dal vivaio i vari Gagliardin­i, Caldara, Conti, Sportiello, Grassi, Bastoni. E anche in precedenza, i prodotti più interessan­ti delle giovanili erano quasi sempre nazionali: Gabbiadini, Montolivo, Bonaventur­a, Lazzari, Baselli, Consigli etc.

Un trend che si è invertito proprio a partire dal 2017, come ha scritto Alessandro Cappelli su Rivista 11 in un pezzo dal titolo emblematic­o, “L’Atalanta dei giovani italiani non esiste più”: da allora «tutti dall’estero, tutti a costi relativame­nte bassi. Questa è diventata la tendenza». In pratica è mutato l’orientamen­to generale: se prima il settore giovanile era bacino tecnico di rinforzo della rosa, adesso è anche un’enorme risorsa economica. Pensiamo ai casi recenti di Diallo e Kulusevski, venduti rispettiva­mente per 21 e 35 milioni dopo aver disputato la miseria di 5 e 3 partite in prima squadra. «Noi abbiamo giovani in pianta stabile, e in questi ultimi anni ne abbiamo fatti esordire. Comunque sì, sono esordi sporadici e non continuati­vi», confessa Sartori.

Ecco allora che la patria dell’Atalanta diventa l’idea, non più la geografia. L’idea naturalmen­te del demiurgo Gasperini: «Noi cerchiamo caratteris­tiche per venire incontro all’allenatore, le cui indicazion­i sono chiare». Ciò, inevitabil­mente, ha interrotto il flusso diretto tra primavera e prima squadra: «Avendo alzato il livello, è normale che i giovani debbano fare un percorso esterno per rientrare». E però non ovunque è così, anzi. In Italia ad esempio l’ottimo Scalvini (classe 2003), investito dallo stesso Gasperini come possibile erede di Bastoni, è già fortunato se riceve una convocazio­ne tra i grandi. In Germania invece uno come Bellingham, sempre classe 2003, ha già 40 partite tra Bundes e Champions. «Questo è vero ma non riguarda l’Atalanta. Senza citare l’Olanda, anche in Francia fanno giocare i 2004, i 2003. Probabilme­nte hanno più coraggio, mentalità diversa, noi siamo in ritardo per lancio dei giovani, forse per cultura nostra particolar­e».

Forse, chissà. Di certo, per resistere alla sempre più (pre)potente globalizza­zione, non basta più la sola dimensione locale. Ora quelli bravi vanno a pescare in Olanda, Svizzera, Belgio, Bulgaria, Ucraina, proprio come fa Sartori. Perché non è più tempo di favole, con buona pace dei tanti antimodern­i nel pallone – tra cui spesso è difficile non ritrovarsi. Adesso si tratta di diventare grandi, e sembra che qualche italiano dovremo lasciarlo per strada.

 ??  ?? Riccardo Piccoli, 20 anni, attaccante, 1 gol in A con la Dea
Riccardo Piccoli, 20 anni, attaccante, 1 gol in A con la Dea
 ?? LAPRESSE ?? Alessandro Cortinovis, 20 anni, trequartis­ta dell’Atalanta
LAPRESSE Alessandro Cortinovis, 20 anni, trequartis­ta dell’Atalanta
 ?? LAPRESSE ?? Il tecnico Gian Piero Gasperini (63 anni) dal 2016 allena l’Atalanta
LAPRESSE Il tecnico Gian Piero Gasperini (63 anni) dal 2016 allena l’Atalanta
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