Le F.1 costruite in laboratorio sono lontane dalla realtà
Molti anni fa mi è capitato di fare un lungo viaggio con Piero Taruffi al volante. Vincitore dell’ultima Mille Miglia e grande pilota su strada. Gli avevo chiesto quali fossero i segreti che rendevano i piloti capaci di condurre auto così veloci in condizioni di bassa aderenza come quelle relative alla variabilità delle condizioni atmosferiche. Immaginavo di poter condividere con lui tutta una serie di accorgimenti, maturati in anni di competizioni al volante delle vetture più diverse: dalle monoposto alle sport. La risposta mi aveva deluso: «In quelle condizioni basta solo andare più piano».
A ben ripensarci, quello che è successo al Gran Premio del Belgio a Spa-Francorchamps avrebbe dovuto fare tesoro di quella che sembra una banale battuta ma che da sola avrebbe potuto dare dignità ad una gara che al contrario, ha finito per affogare nella vergogna l’intera Formula 1. Regina senza corona visto che in mattinata le monoposto di Formula 3 avevano affrontato condizioni egualmente avverse senza battere ciglio.
Perché le monoposto attuali sono sempre più lontane dal concetto stesso di automobile. Sono costruite in laboratorio e si trovano a loro agio soprattutto quando vengono impiegate su simulatori che parlano il loro stesso linguaggio. Guai a mandarle sole per il mondo. Soprattutto quando piove. C’è la corona degli sponsor ad accompagnarle, attenta a separare il rischio dal pericolo. Il pubblico deve emozionarsi ma solo se alla fine, è sicuro di poter tirare un sospiro di sollievo. E così quel mondo, nel quale dovrebbero regnare razionalità e coraggio, finisce per balbettare di rinvio in rinvio: lo spettacolo deve andare avanti, i fatturati anche, ma senza produrre turbamento.
È la Formula 1 del lieto fine. Si certifica così, se ce ne fosse bisogno, la crescente separazione tra il mondo reale e quello virtuale. Che alla fine produce un podio che ci si vergogna a nominare. I cui protagonisti sono vittime incolpevoli, a loro volta, di una Formula 1 che non è la pioggia insistente del Belgio a condizionare ma piuttosto l’aridità di tutto quello che gli sta intorno.