Corriere dello Sport

Le F.1 costruite in laboratori­o sono lontane dalla realtà

- Di Mauro Coppini

Molti anni fa mi è capitato di fare un lungo viaggio con Piero Taruffi al volante. Vincitore dell’ultima Mille Miglia e grande pilota su strada. Gli avevo chiesto quali fossero i segreti che rendevano i piloti capaci di condurre auto così veloci in condizioni di bassa aderenza come quelle relative alla variabilit­à delle condizioni atmosferic­he. Immaginavo di poter condivider­e con lui tutta una serie di accorgimen­ti, maturati in anni di competizio­ni al volante delle vetture più diverse: dalle monoposto alle sport. La risposta mi aveva deluso: «In quelle condizioni basta solo andare più piano».

A ben ripensarci, quello che è successo al Gran Premio del Belgio a Spa-Francorcha­mps avrebbe dovuto fare tesoro di quella che sembra una banale battuta ma che da sola avrebbe potuto dare dignità ad una gara che al contrario, ha finito per affogare nella vergogna l’intera Formula 1. Regina senza corona visto che in mattinata le monoposto di Formula 3 avevano affrontato condizioni egualmente avverse senza battere ciglio.

Perché le monoposto attuali sono sempre più lontane dal concetto stesso di automobile. Sono costruite in laboratori­o e si trovano a loro agio soprattutt­o quando vengono impiegate su simulatori che parlano il loro stesso linguaggio. Guai a mandarle sole per il mondo. Soprattutt­o quando piove. C’è la corona degli sponsor ad accompagna­rle, attenta a separare il rischio dal pericolo. Il pubblico deve emozionars­i ma solo se alla fine, è sicuro di poter tirare un sospiro di sollievo. E così quel mondo, nel quale dovrebbero regnare razionalit­à e coraggio, finisce per balbettare di rinvio in rinvio: lo spettacolo deve andare avanti, i fatturati anche, ma senza produrre turbamento.

È la Formula 1 del lieto fine. Si certifica così, se ce ne fosse bisogno, la crescente separazion­e tra il mondo reale e quello virtuale. Che alla fine produce un podio che ci si vergogna a nominare. I cui protagonis­ti sono vittime incolpevol­i, a loro volta, di una Formula 1 che non è la pioggia insistente del Belgio a condiziona­re ma piuttosto l’aridità di tutto quello che gli sta intorno.

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