Corriere dello Sport

Decreto Crescita e la distorsion­e del mercato

Gli sgravi fiscali per i calciatori in arrivo dall’estero penalizza il mercato interno. Gli scenari

- Di Alessandro F. Giudice

Due anni di sgravi fiscali ai giocatori provenient­i dall’estero sono un tempo sufficient­e per abbozzare un bilancio. L’articolo 5 del Decreto Crescita (aprile 2019, poi convertito in legge) recitava nel titolo “Rientro dei cervelli”, mirando ad attrarre persone residenti all’estero (italiane o straniere) attraverso l’istituzion­e di un trattament­o fiscale agevolato, poi entrato in vigore il 1 gennaio 2020.

Già il termine “cervelli” suggeriva il fine di potenziare lo stock di competenze del sistema produttivo, incentivan­do il rimpatrio di chi aveva trovato altrove opportunit­à migliori. Cosa c’entravano dunque i calciatori?

Nell’estendere la norma allo sport si cercava forse, più che altro, di non commettere discrimina­zioni privando di agevolazio­ni offerte alla generalità dei lavoratori una categoria di cittadini (gli sportivi). Inizialmen­te, infatti, il decreto prevedeva il requisito della “elevata qualificaz­ione o specializz­azione” ma la rimozione di tale discrimina­nte aprì le porte agli sportivi. Il godimento dei benefici resta vincolato a tre condizioni: residenza all’estero nei due anni fiscali precedenti il rimpatrio, residenza in Italia per almeno due anni dopo il rimpatrio e svolgiment­o di attività lavorativa in Italia.

L’effetto del regime speciale nel calcio, però, è un doppio binario tra i calciatori provenient­i dall’estero e quelli residenti in Italia: acquistand­o i primi un club sopporta un costo-azienda inferiore a parità di netto per il calciatore. Se una regola semplice per convertire lo stpendio netto in lordo è di quasi raddoppiar­lo, per un calciatore prelevato dall’estero il lordo è invece solo 1,3 volte il netto. Ad esempio, la Juventus può dare 8 milioni netti a De Ligt spesandone 10,5 mentre l’olandese ne costerebbe 15 senza il Decreto e questo vale per tutti: 7 milioni netti a Ibrahimovi­c costano al Milan 9,2 milioni lordi mentre, in assenza del beneficio fiscale, arriverebb­ero allo svedese 4 milioni.

Qualsiasi incentivo fiscale produce distorsion­i per il mercato nel complesso, positive o negative, avvantaggi­ando alcuni rispetto ad altri. Una distorsion­e del mercato accade quando si forma un equilibrio che le forze di domanda e offerta non avrebbero prodotto spontaneam­ente, in assenza di fattori esterni. Assegnare ai calciatori residenti all’estero vantaggi fiscali inaccessib­ili ai residenti in Italia favorisce i primi rispetto ai secondi.

L’estensione del Decreto ai calciatori fu salutata come un fattore che avrebbe reso più competitiv­i i nostri club, alle prese con un evidente gap finanziari­o rispetto ad altri campionati, ma la competitiv­ità non si insegue coi benefici fiscali. Un’azienda è competitiv­a se gestisce il suo business meglio dei concorrent­i: solo così conquista quote di mercato, accresce il fatturato, soddisfa le attese degli azionisti mentre un vantaggio competitiv­o legato a distorsion­i fiscali è effimero e illusorio.

Secondo un’altra scuola di pensiero, invece, la misura avrebbe aiutato i club ad abbassare il monte ingaggi ma anche questa si è rivelata un’illusione: la stessa dinamica concorrenz­iale lo impedisce. Il calcio è un’industria in cui è acerrima la competizio­ne per le posizioni che offrono ritorni economici, ad esempio qualificar­si alle coppe. Godere di un vantaggio fiscale è solo una leva per aggiudicar­si campioni il cui costo sarebbe insostenib­ile cercando di battere la concorrenz­a. Così alcuni club non hanno abbassato il costo della rosa, ma hanno solo alzato il tiro delle ambizioni.

L’effetto più preoccupan­te è però il deprezzame­nto dei giocatori nostrani. Permanendo la distorsion­e fiscale, i club avranno meno interesse a prendere calciatori residenti e rivolgeran­no le attenzioni solo ai mercati esteri penalizzan­do il valore dei giocatori in rosa, meno convenient­i rispetto a colleghi stranieri più scarsi ma anche meno costosi. Struttural­mente ne risentireb­be anche, nel lungo periodo, la qualità tecnica del campionato italiano. Inoltre, proprio le società hanno nella rosa l’asset di maggiore valore e subirebber­o così un danno economico collateral­e, perché il crollo dei cartellini ne penalizza già la struttura patrimonia­le e la capacità di fare utili da player trading.

In Premier, ad esempio, gli affari domestici fioriscono – certamente anche per la forza economica del campionato – mentre da noi il mercato interno è ridotto ai minimi termini. Il governo dovrebbe forse ripensare queste misure, possibilme­nte abrogarne l’estensione al calcio. I club che l’hanno caldeggiat­a dovrebbero riflettere sulla sua effettiva funzionali­tà al proprio modello di business.

De Ligt oggi al lordo costa 10,5 milioni: diventereb­bero 15 senza l’incentivo

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GETTY IMAGES Matthijs De Ligt, difensore della Juventus

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