Corriere dello Sport

Se osano le aquile

- Di Alessandro Barbano

Cominciamo subito col dire che il Daspo a vita non ci piace, come nessuna sanzione capitale e nessuna retorica securitari­a che invochi di gettare le chiavi della cella. Poiché a nessuno, neanche al peggior criminale deve essere negata una chance di redenzione e di riabilitaz­ione, secondo quanto la Costituzio­ne prescrive.

Cominciamo subito col dire che il Daspo a vita non ci piace, come nessuna sanzione capitale e nessuna retorica securitari­a che invochi di gettare le chiavi della cella. Poiché a nessuno, neanche al peggior criminale deve essere negata una chance di redenzione e di riabilitaz­ione, secondo quanto la Costituzio­ne prescrive e la pietas, cristiana e laica, suggerisce. Figuriamoc­i se possiamo augurare l’interdizio­ne perpetua dagli spalti a questo ragazzotto che, all’ottantaset­tesimo di Lazio-Inter, dalla Tribuna Tevere vomita il suo scimmiesco ululato contro l’esterno interista Dumfries, punito dall’arbitro per un fallo su Marusic. Il suo gesto racconta, come direbbe il grande antropolog­o René Girard, un riflesso mimetico, cioè l’imitazione acritica e rassicuran­te di un rito collettivo.

Però se nulla accade, e se nessuno gli chiede conto di ciò che ha fatto, il ragazzotto, e altri come lui, si convincera­nno che quell’insulto vale la pena di ripeterlo, perché riempie il vuoto che sentono dentro di sé e garantisce un’identifica­zione con un modello che, in quanto permesso, diventa socialment­e accettato. Questo sarebbe terribile, perché aggiungere­bbe alla subcoscien­za degli autori la nostra dolosa indifferen­za o, peggio, complice tolleranza.

Sono cinque giorni che le immagini dell’ululato, riprese dalla telecamera di Dazn, circolano sul web senza che la Lazio abbia provveduto a identifica­re il giovane, a denunciarl­o alle autorità, e a cacciarlo dallo stadio per un tempo ragionevol­e. Cinque anni? Anche troppi. Forse ne basterebbe­ro tre, poiché è la misura la vera forza della sanzione. Ma se la Lazio non interviene, come hanno fatto in casi analoghi Juve e Fiorentina, tanti altri come quel ragazzo penseranno che si può fare. E altri ancora, diversi da quel ragazzo, penseranno che alla Lazio, sotto sotto, quel gesto non dispiace poi tanto, oppure che i suoi dirigenti non hanno il coraggio di sfidare i gruppi a cui quel ragazzo appartiene.

Il razzismo e gli idioti saluti fascisti non richiedono reazioni esemplari, né tantomeno operazioni spot, come quelle insopporta­bili campagne di marketing del buonismo con cui molti club e la stessa Lega si lavano la coscienza. Ci vuole molto di meno e, allo stesso tempo, molto di più: una banale, ferma coerenza. Poiché la malapianta della violenza verbale è cresciuta nella doppiezza, reale e percepita, della classe dirigente del calcio. Perciò bene ha fatto la Lazio a sospendere il falconiere nostalgico del Duce, dimostrand­o che le aquile volano e osano anche senza il fascio littorio. Perciò, ancora, bene farebbe a smascherar­e l’ululatore di cui, sul Corriere dello Sport-Stadio, parleremo ogni giorno fino a quando chi può, e deve muoversi, non si sarà mosso.

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Patania
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L’olandese Denzel Dumfries durante Lazio-Inter

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