MORATTI AL VAR
«Il finale di Juve-Inter ’98 non l’avrebbe cambiato neanche il video» E Chiellini non perdona Cristiano: «Meglio se fosse andato via prima»
«Oggi vivo la sfida con meno tensione e pensieri» dice l’ex proprietario nerazzurro «Ronaldo baciato da Dio, Ibra la cantante lirica. Mou come HH»
Il lettore mi perdonerà, lo spero, se con Massimo Moratti il “lei” non mi viene naturale. Lo conosco da quasi trent’anni e già al primo incontro, dopo avermi rammentato con eleganza - io bolognese - la Pasqua di sangue del ‘64, lo scudetto «sottratto all’Inter» dai ragazzi di Bernardini e la passione per “Veleno” Lorenzi (ricordo la foto con dedica dietro la scrivania) mi impose il tu. Facile: lo sentivo quasi familiare per la passione e la competenza con cui parlava di calcio, in particolare di football. Non solo di Cantona, anche di Paul Ince, Mark Hughes, Bryan Robson e altri.
Il lettore mi perdonerà, lo spero, se con Massimo Moratti il “lei” non mi viene naturale. Lo conosco da quasi trent’anni e già al primo incontro, dopo avermi rammentato con eleganza - io bolognese - la Pasqua di sangue del ‘64, lo scudetto «sottratto all’Inter» dai ragazzi di Bernardini e la passione per “Veleno” Lorenzi (ricordo la foto con dedica dietro la scrivania) mi impose il tu. Facile: lo sentivo quasi familiare per la passione e la competenza con cui parlava di calcio, in particolare di football. Non solo di Cantona, anche di Paul Ince, Mark Hughes, Bryan Robson e altri. Nel ’98 seguii per questo giornale tutte le uscite dell’Inter sua e di Ronaldo fino al trionfo di Parigi. Ottavio Bianchi, Simoni, Mancini, Baggio, Simeone, Moriero, Hodgson e il Fenomeno le figurine di un rapporto sviluppatosi nel rispetto dei ruoli pur se tra alti e bassi, allontanamenti e riavvicinamenti. Ogni tanto una telefonata, due risate, dialoghi marginali, allusioni al presente, nel misto di rigore e pacato distacco con cui Moratti osserva persone e situazioni.
Giorni fa ho recuperato l’intervista dell’autunno ’94 in cui vagheggiavi “la tua Inter”.
«Mi piaceva pensare a come avrebbe potuto essere. Prendere l’Inter non era nemmeno tra le intenzioni, allora. Come avrei fatto, chi avrei venduto, chi avrei comprato, questo risposi».
Beh, comprare hai comprato. Venduto, un po’ meno.
(È in forma olimpica: sorridente, affabile, sottile anche, straordinariamente sarcastico). «Vendere non mi veniva bene... Però Ronaldo e Ibra furono grandi operazioni, autentici investimenti. Gli opposti. Il Ronaldo del ’98 non è descrivibile con accenti umani, era baciato da Dio».
E Ibra? Anche a venticinque anni si sentiva un dio in terra?
«Sì. Un tipo davvero speciale, molto simpatico. La cantante lirica, voleva essere rispettato, la squadra dove riconoscerne la leadership, lui era il capo, dava anche ottimi consigli. Ancora oggi, a quarant’anni, non sembra cambiato».
Ma ci era o ci faceva? Ci è o ci fa, insomma?
«In entrambi i casi Ibra è positivo e unico».
(Cade la linea). Lo richiamo. «Colpa del mio telefonino, ne ho uno di 50 anni fa. Sempre lo stesso».
Lo snobismo morattiano.
«Ma no, sono abituato a questo, è comodissimo. Un vecchio Nokia».
Sospetto che tu non senta la necessità di scattare foto. Piuttosto, ne ricordo una, di immagini, della quale fosti il soggetto, quella del gesto dell’ombrello durante un derby. Per molti, rivolto a Ronaldo che aveva tradito.
«Mi beccasti tu, quella sequenza sul giornale. Ma lo feci dopo una punizione di Pirlo. Calciò fuori e reagii in quel modo. Era per Pirlo, non per Ronaldo. Ed eravamo sul 2-1».
L’Inter alla quale sei rimasto più legato è quella del Triplete?
«Offenderei chi ha vinto tutto, se ne indicassi un’altra. Quella di Ronaldo, Zamorano, Recoba e Djorkaeff, però, mi è rimasta nel cuore».
L’Inter-Juve che non potrai mai dimenticare?
«Inter-Juve per noi interisti è la partita, procura sofferenza, mi faceva star sveglio la notte. Ci pensi in continuazione, nella settimana che la precede. Come emotività e come simpatia». Ride.
Eri un presidente che viveva il calcio come un allenatore o un giocatore. Totalmente coinvolto.
«La Superlega presentata male Interspac: buona l’idea, ma non qui»
«Il calcio, al di là della passione, era la distrazione da altri pensieri. Con il calcio i sogni vengono facili. Come quando compri un giocatore e immagini che segni il gol dell’anno dopo due secondi e mezzo, ti aspetti sempre nuove meraviglie. Ad ogni modo l’Inter-Juve indimenticabile è quella del 16 aprile 2010, 2-0, il gol di Maicon che fu definito iconico».
«Hanno provato a farmi rientrare ma è una strada non più percorribile»
Pensavo che avresti risposto
«quella del rigore non concesso da Ceccarini».
«La partita che ha guastato il rapporto».
Calciopoli ha fatto il resto.
«Calciopoli ha esasperato il concetto di simpatia», battuta che accompagna con l’inconfondibile risatina. «Oggi vivo quella partita con molta più serenità, meno passato e più presente, l’emozione è gestibile. Sono un tifoso meno sofferente… prima di entrare allo stadio».
Cosa sarebbe successo se ai tuoi tempi ci fosse stato il Var?
«Sarebbe stato uguale, perché dietro al Var ci sarebbe stata gente che la pensava allo stesso modo».
Mourinho lo senti ancora?
«Certamente, Mourinho è bravo e sono felice che sia alla Roma, dove sta facendo bene. Lo presi perché mi ricordava tanto Herrera, mi divertiva il fatto che come il Mago fosse diverso, provocatorio, abilissimo nel comunicare, molto intelligente. Oltre che eccezionalmente vincente».
E Mancini? Il pregio.
«Il pregio potrebbe anche essere il difetto: l’emozionalità. Siamo sempre rimasti legati. Roberto
era un ragazzo, conservava tutta l’emozionalità del giocatore. Perdemmo con la Lazio e me lo trovai nello spogliatoio che piangeva in un angolo, le lacrime facevano capire che ci teneva tremendamente a far bene. A Roberto ti affezioni anche per come vive il calcio, la partita, i momenti. Diventa difetto, l’emozionalità, quando prevale sul resto, proprio questo aspetto del carattere lo spinse a dire che a fine stagione se ne sarebbe andato».
Per la verità, in seguito sarebbe rimasto volentieri. Fosti tu a esonerarlo.
«Lo presi in parola. Per Roberto il calcio è così semplice, una cosa naturale. Solo i fuoriclasse hanno la capacità di renderlo così».
Hai appoggiato il progetto Interspac?
«Ho apprezzato le intenzioni, hanno avuto molto coraggio. Penso che in Italia quel genere di azionariato non sia praticabile, oltretutto i numeri che le società presentano oggi sono drammatici. In Germania si arriva a quote del 15, 20 per cento, ma con cifre accessibili e rischi li
mitati per i sottoscrittori… Mi fanno tanta tenerezza e simpatia i tifosi meno famosi disposti a mettere i mille euro».
E arriviamo alla Superlega.
«Presentata molto male, al punto che è il progetto è stato immediatamente cancellato. L’obiettivo dei club è quello di trovare il modo di portare a casa più soldi e posso anche capirlo, ma non si può sviluppare un piano del genere senza ascoltare la gente, gli appassionati e uscendo dal sistema».
I conti di Suning ti preoccupano?
«I problemi a monte finiscono per colpire a valle, le imprese. Il ragazzo (Zhang) è bravo e simpatico, sento ripetere che le cose si stanno pian piano aggiustando quantomeno sul piano della gestione ordinaria, voglio essere ottimista».
In questi anni tanti hanno cercato di riportarti dentro.
«È successo spesso, anche di recente. Una sconfitta dell’Inter e scatta la chiamata. Ma è una strada che non è più percorribile».