«Ci godiamo questo primato ma ora c’è solo Nardò da battere»
Lotesoriere, coach della OraSì Ravenna, chiarisce: «L'obiettivo resta però una salvezza tranquilla»
Che ci fa un ingegnere industriale su una panchina di una squadra di basket? Guarda, dopo tre giornate, la classifica del Girone Rosso della A2 dall’alto. Lui è Alessandro Lotesoriere, pugliese di Monopoli, che per ora ha fatto, con la sua Ravenna, percorso netto. «Ci godiamo il momento – dice il coach – e cerchiamo di preparare la partita di domenica contro Nardò nel migliore dei modi».
Sia sincero, si aspettava una partenza così?
«No, sarei un bugiardo a dire il contrario. Però i segnali che avevo percepito nelle due ultime settimane di lavoro erano più che buoni. Abbiamo inserito negli ingranaggi Sullivan, che si era unito a noi in ritardo e recuperato qualche giocatore acciaccato. Ma pensare di fare tre su tre con due derby vinti non era immaginabile».
Ed ora cosa succede? Cambiano gli obiettivi per Ravenna?
«Non scherziamo per favore. Nel mirino continuiamo ad avere una salvezza tranquilla. È appena l’inizio della stagione. Intanto, dopo un’estate turbolenta dove era palpabile un po’ di disaffezione del nostro presidente e dei tifosi, abbiamo soffiato sulla brace dell’entusiasmo riuscendo a riaccendere un picco
lo fuoco. Ora starà a noi alimentarlo a dovere».
Con che criterio ha costruito la sua squadra?
«Per il playmaker la scelta è andata su Tilghman che è un giocatore atipico per il suo ruolo. Avevamo l’esigenza, avendo Berdini e Denegri, di mettere più stazza
in quel ruolo e con lui abbiamo trovato il giocatore ideale, quello che può andare a sfruttare un mismatch a proprio favore giocando spalle a canestro. Sullivan invece ci ha colpito per la sua duttilità. Lui può tranquillamente dividere minuti con Gazzotti e Simioni».
Lei è del 1986. Un coach giovane per una squadra giovane. «Sì è vero anche se per alcuni miei giocatori è arrivato il momento di passare la barricata. I tre ragazzi del 1998, Oxilia, Denegri e Simioni, ora non hanno più alle spalle senior con cui dividere il minutaggio. Devono avere quindi un nuovo approccio e nuove responsabilità ed essere l’esempio per gente come Arnaldo (classe 2002) e Berdini (2003) a cui vista la carta d’identità sarà concesso di poter sbagliare per imparare, correggere e crescere».
Lei ha il basket nel sangue. Ma la laurea la tiene in cassaforte?
«Sono orgoglioso del mio percorso universitario, ma vi assicuro che è più complicato fare il coach che l’ingegnere industriale. La mia strada ora è questa, l’ho scelta e fortemente voluta. Giocavo ma proprio lo studio mi ha fatto saltare dall’altra parte della barricata. Prima con le giovanili a Monopoli poi la crescita fino a quando, da capo allenatore, non ho portato in Serie B il Mola. Fatale poi l’incontro con Antimo Martino. Mi ha portato a Ravenna come assistente e poi alla Fortitudo Bologna. Un mentore, certo, ma soprattutto un amico a cui devo molto».