Corriere dello Sport

Spalletti non sa fingere

- Di Giancarlo Dotto

Ifischi no, non li merita. Ha ragione e ha fatto bene a ribadirlo. Con serenità e fermezza. L’aveva già detto quando venne da interista all’Olimpico, ma non servì. Fu fischiato di brutto e forse sarà così anche oggi, ma le cose ingenerose possono accadere una, due, mille volte, non per questo saranno meno ingenerose. Fischieran­no oggi all’Olimpico contro Spalletti solo i poveri di spirito e i deboli di memoria. I poveri di spirito non avranno letto o comunque apprezzato il bellissimo messaggio che Lucio ha voluto spedire ai suoi ex tifosi, alla vigilia di una partita sempre acida di suo: «Roma-Napoli è la partita della mia vita e Roma non sarà mai una mia nemica». Colpi ruffiani da spalmare alla vigilia di una partita in cui ci si gioca tanto? Non conoscete Lucio. Lucio non sa mentire. Ovvero, mente come qualunque umano al mondo, ma si fa tanare dopo un secondo. Non ha imparato a mettersi in maschera e dubito che ne abbia voglia, anche perché lui deve fare i conti con una coscienza implacabil­e, le galline di Cioni, gli amici di sempre. Fai o dici una cazzata e non lo sai? Ci pensano loro a fartelo sapere. Per quanti progressi abbia fatto, Spalletton­e resta molto lontano dal dominio scenico dello Specialone, miscela debordante di intelligen­za e narcisismo. Mourinho può dire qualunque cosa ed essere credibile sempre.

I deboli di memoria fischieran­no anche loro a sproposito. Sono di Spalletti gli ultimi titoli della Roma. Quando arriva la prima volta, 2005, è un parvenu che ha fatto cose eccelse all’Udinese, ovvero la periferia dell’impero. Quanta felicità in quelle undici vittorie consecutiv­e? Quanti conigli dal cilindro e quanta estasi da bel gioco? Tutto dimenticat­o? Così facile dimenticar­e? Lione, Madrid. I Taddei e i Perrotta reinventat­i. I tifosi romanisti non fecero in tempo ad amare Luis Enrique e Rudi Garcia, il primo per rapida consunzion­e, il secondo per la brutale uscita di scena. Tornò sette anni dopo, gennaio del 2016, Lucio, in piena emergenza, e furono ancora godute. Di punti e di gioco. La storia di Totti lo ha bruciato vivo e prima o poi dovrà essere riscritta. Spalletti era amico di Totti, anche troppo amico (non escludo l’inconscio bisogno di darsi un ombrello gigante, lui che ha sempre macinato fantasmi, incluso quello di non essere mai all’altezza). Non fu Spalletti il killer di Totti, non ci fu nessun killeraggi­o, ma una società intera che, per ragioni condivisib­ili o meno, aveva stabilito che Totti a oltranza non era un bene per la crescita della Roma. Spalletti, “piccolo uomo”, il ragazzo di campagna, ha subito un linciaggio, come altro chiamarlo, e non meritava nemmeno questo. Farlo passare nella serie televisiva come un ottuso livoroso ha messo sale nella piaga ancora aperta. Sabatini ha ragione: Spalletti è il più grande di tutti. Lo sarà davvero il giorno in cui saprà calmare le tempeste emotive che spesso lo hanno fuorviato. Le sue recenti uscite pubbliche dicono che è sulla buona strada. Gli serve ora un grande titolo, una vittoria inequivoca­bile. Napoli sembra la città giusta al momento giusto.

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