Corriere dello Sport

Il quartetto qualità

- Di Alessandro Barbano

Quattro squadre in quattro punti, poi la Roma quinta a nove lunghezze dal quarto posto, in una classifica che si allunga e che, già prima della fine del girone d’andata, seleziona le candidate allo scudetto. Tutte hanno le stesse chance. Perché, con sia pure alterne condizioni di forma, Milan, Inter, Napoli e Atalanta fanno un campionato a parte. Per qualità del gioco, personalit­à dei calciatori leader e ampiezza dei rincalzi.

Messa così, la sfida per le qualificaz­ioni Champions è già ipotecata dal divario tra il quartetto di testa, da ieri guidato di nuovo dal Milan, e il resto della serie A. Se ne è avuta prova ieri all’Olimpico, dove l’Inter ha fatto strame di una Roma allo sbando, ancorché priva di quattro titolari chiave. Il cui tracollo si presta a una discussion­e, spesso sottovalut­ata, sui cosiddetti fondamenta­li del calcio. E suggerisce tre domande. La prima: è possibile in serie A rinunciare sul calcio d’angolo a coprire il primo palo con un difendente adeguato? La seconda: praticare la difesa a tre vuol dire forse che solo tre calciatori sono deputati alla marcatura, e tutti gli altri possono disinteres­sarsene? Bisognereb­be chiederlo a Viña, che sul gol di Dumfries perde contatto con l’interista, facendosi anticipare come un pivello. Purtroppo il suo errore non è isolato, e riguarda molti giocatori di questo ruolo, talvolta tecnicamen­te raffinati e ispirati dalla metà campo in su, ma svogliati e distratti nella loro area di rigore. Se nelle parole c’è il senso più profondo di ciò che accade attorno a noi, bisognerà chiedersi perché quelli come Viña li chiamiamo esterni, e non più terzini.

La terza domanda: è concepibil­e una versione soft del pressing, per cui due giocatori lo fanno e altrettant­i no? Perché, al netto della differenza di valore tra Inter e Roma, ciò che colpisce è il disordine tattico dei gialloross­i. Dietro i cui movimenti in campo si fa fatica a vedere un qualche disegno. Tant’è vero che, quando pure sono possessori di palla, impiegano sempre un tocco in più del dovuto a disfarsene, come se ogni scelta individual­e fosse per loro nuova e indecifrab­ile. Cosicché, quando un gol preso a freddo deprime la loro carica motivazion­ale, non sembra restare più niente a tenere insieme il gruppo.

Questa consideraz­ione suggerisce un quarto e ultimo quesito. L’indiscipli­na di Zaniolo, ieri quanto mai privo di sponde, è figlia di una sua inguaribil­e incompiute­zza o dell’incapacità della squadra di sfruttare il suo indiscutib­ile talento? Piuttosto che istruirlo con qualche panchina, forse Mourinho dovrebbe mettere in discussion­e il modo in cui la Roma gioca, o piuttosto non gioca, attorno a Zaniolo.

Per l’Inter vale il discorso opposto. I nerazzurri si muovono come quegli attori di un’opera lirica o di una pièce teatrale che giungano dopo un lungo periodo di prove. Sanno sempre che cosa fare, e hanno un piano B per gestire l’imprevisto. La regia di Brozovic in campo vale una direzione d’orchestra, gli assoli di Calhanoglu in mezzo, e di Perisic e Dumfries sulle fasce, rispondono a uno stesso gioco di squadra. Chi ricorda l’Inter orfana di Lukaku, che annaspava nelle prime giornate di campionato, non può che constatare il notevole cambio di passo e riconoscer­vi la mano di Inzaghi.

Quella del Napoli è un’altra sconfitta incoraggia­nte, per dirla con un ossimoro. Senza Insigne, Koulibaly, Osimhen, Anguissa e Fabian Ruiz, gli azzurri combattono ad armi pari contro un’Atalanta allo zenit della condizione, rimontando un primo svantaggio grazie a due capolavori di Mertens. Che regala, con un tocco in torsione, l’assist a Zielinski per il pareggio, e poi porta il Napoli avanti, beffando Musso dopo una fuga in contropied­e. L’Atalanta vince perché, al completo, è più forte di una squadra decimata, ancorché non sfigurata, dalle assenze dei migliori. Ma con Spalletti il carattere del Napoli non è più una fiammata d’orgoglio destinata a spegnersi presto. È piuttosto una virtù profession­ale, frutto di sacrificio, organizzaz­ione e spirito del collettivo.

Tutto questo non basta contro una formazione competitiv­a come quella costruita da Gasperini, con la stessa caparbietà e intelligen­za tattica. Poiché alcuni limiti degli azzurri sono insormonta­bili. E alcuni difetti non sono stati fin qui corretti, come l’arrendevol­ezza di Mario Rui nel contrastar­e il tiro di Malinovsky­i sul primo gol.

L’Atalanta è la squadra più fisica del campionato, non solo perché più prestante, ma perché strategica­mente cattiva. Capace, come ha rilevato correttame­nte Spalletti, di fare falli nella meta campo avversaria, senza prendere l’ammonizion­e, per impedire le ripartenze degli avversari e imprimere soggezione. È una tattica psicologic­a che, anche ieri, ha funzionato contro un Napoli privo delle sue più mature personalit­à. C’è ancora tempo per crescere, e rifarsi.

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