Corriere dello Sport

Dal Triplete alla tripletta l’incubo Mou

- Di Giancarlo Dotto ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il passato che fa a pezzi il presente. Sempre di triplete si tratta, ma diversa la storie e gli umori. Peggio di così. Il già notevole e fantasioso repertorio dell’incubo romanista si aggiorna di un altro capitolo e questa volta la faccia più penosa, nel senso della pena, è quella di Josè Mourinho, che deve scontare forse oggi a Roma l’aver esultato troppo ieri ovunque. Bisogna immaginare che il funesto presagio formicolas­se nella testa di Josè già dalla vigilia. E spiegarla così la scelta del silenzio, non come una geniale trovata di comunicazi­one, così l’avremmo certamente raccontata in caso di vittoria.

Due Josè e due facce per un uomo che avrebbe volentieri pagato di suo per cancellare questa partita dal calendario. Il primo Mou, all’inizio, tumefatto dall’emozione che si gratta la testa. Lui in panchina, Totti in tribuna, la solita maschera questa volta passibile (non ce la fa a nascondere il compiacime­nto d’essere l’oggetto di tanto amore). Il mondo romanista si sente protetto da quei due, sopra e sotto, anche se l’inquietudi­ne ha la silhouette ben nota di Edin Dzeko. Avevano ragione a essere inquieti. E si capisce subito che non è Edin l’unico fantasma inquietant­e con la maglia dell’Inter. Il Mou della fine, fine in tutti i sensi, è un uomo che si sforza inverosimi­lmente di nascondere l’imbarazzo (e la pena) provando a gestire qualcosa che non è gestibile, la sua Roma di ieri.

Josè incontrava undici anni dopo la sua storia perfetta. Irripetibi­le

per quanto perfetta. Lo fa, purtroppo con la sua storia largamente imperfetta, la Roma di questi tempi, una squadra che sembra doversi battere, e a volte nemmeno si batte, contro tutto e tutti, a cominciare dalla propria pochezza e per finire con arbitri, infortuni e cattiva sorte. Aveva preparato la partita con attenzione maniacale, fantastica­ndo chissà quali sviluppi, ma durava poco, il tempo di un pallone sta lì apposta per gettare nello scherno oltre che nello sconforto il lavoro dei suoi eroi. La traiettori­a di quello che passa

in mezzo alla gambe di Rui è troppo comica per essere vera. È vera, è la storia della Roma. E uccide alla radice la possibilit­à che questa partita sia una cosa seria. Dopo mezz’ora, Josè è lì cerca una spugna da gettare in campo per scongiurar­e che l’incubo non diventi troppo grande da smaltire. Cosa passerà in queste ore nella sua testa? Sarà interessan­te capirlo. L’idea che la Roma sia un suo karma che ignorava di avere, il suo piccolo inferno dove ci stanno esperienze mai fatte, i primi sei gol mai presi, i primi tre tutti in un tempo? O la smania ancora più forte di giocarsi la sfida più enorme della sua storia?

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Simone Inzaghi 45 anni

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