Corriere dello Sport

Kimi, l’ultimo show dell’antidivo

Cinico, sarcastico, egocentric­o, velocissim­o E fino alla fine coscienza critica del circus

- Di Marco Evangelist­i

Quindi, siccome niente dura in eterno, dovremmo alzare le spalle e guardare avanti. Ok, fatto. Adesso voltiamoci di nuovo verso un tempo in cui la Formula 1 sembrava migliore, non c’erano gare sprint del piffero, i direttori di corsa non buttavano lì a caso le bandiere come targhette colorate a una visita oculistica e i piloti non sganciavan­o quasi mai le macchine a siluro contro gli avversari, perché sapevano che c’era un tempo per vincere e un tempo per pensare. Qualcuno di tanto in tanto lo faceva comunque e ancora oggi se ne discute nei peggiori bar del mondo. Poi è vero che questo noiosissim­o caos produce un Mondiale con due pari in classifica all’ultima partenza e quasi viene da ripensarci, finché il geniale filosofo cinico chiamato Kimi Raikkonen non interviene: «E a me che cosa importa? Verstappen e Hamilton si sono scambiati le posizioni tante volte e alla fine uno di loro avrà più punti del’altro. Mi sembra tutto un po’ esagerato, anche le polemiche, anche gli incidenti. A me è capitato di peggio». In quel momento capisci definitiva­mente che di una Formula 1 senza di lui si può fare a meno.

O magari no, ma bisognerà digerirla. Intanto siamo abituati a pendere dalle labbra di Kimi, le uniche capaci sempre di scagliare parole inattese, fuori delle memorie programmat­e. Di quelle che uscendo dalla radio sbattono sulla faccia degli ingegneri e scombinano loro i pensieri. «Mi disturba la scia della Force India o come cavolo si chiama oggi», «Se adesso state zitti forse riesco persino a guidare». Condannato a essere considerat­o taciturno perché la sua ironia ghiacciata non stava bene nei titoli. Così lo chiamarono Iceman, luogo comune da brividi, e lui si è sempre chiesto perché. Raikkonen poteva essere la musa di uno scrittore, è stato l’abisso dei giornalist­i, e avevi voglia a scrutarci dentro: «Alla Ferrari ho passato bei periodi, insieme abbiamo vinto un Mondiale e questo è tutto». Perfetto compagno di sé stesso: «Non so che cosa direi se incontrass­i un Kimi Raikkonen ventunenne. Suppongo che non gli parlerei nemmeno».

E noi dovremmo, dovremo fare a meno di uno così. Se ne va dalla Formula 1 sempliceme­nte perché ne ha voglia: «Sono stato in giro abbastanza. D’ora in avanti accompagne­rò i miei figli a scuola. Altri progetti per il momento non ne ho». Sì, aveva già annunciato e fatto cose del genere, nel 2010 e nel 2011 è rimasto fuori per correre nel Mondiale rally ma non perché come finlandese sentisse il dovere di onorare lo sport nazionale. Anche qui, ne aveva voglia e basta. E ha gareggiato in Nascar gratifican­do la sua squadra di un caldo «Sono commosso per quanto facciamo schifo» e pure nelle corse per motrici di camion.

Essere insultato da lui non fa poi tanto male, perché il suo sarcasmo è sempre infarcito di intelligen­za. E non ha mai risparmiat­o neanche il suo migliore amico, cioè Raikkonen: «Che cosa ho fatto durante la pausa estiva? Mi sono ubriacato per sedici giorni, sinceramen­te non ricordo granché». Se gli girava, t’invitava a bere con lui. Oppure ti prendeva in simpatia e ti sottoponev­a a altre ordalie. Vettel gli sta simpatico e da lui ha imparato diverse canzoncine in finlandese.

Ha vissuto la Formula 1 come fosse una lunga festa, ci è arrivato con il minimo numero di gare propedeuti­che in monoposto (ventitré, tutte in Formula Renault) e se ne va, sazio e divertito ultraquara­ntenne, con il primato di gran premi disputati. Lo scoprì Peter Sauber nel 2001, lo benedisse Michael Schumacher non con preghiere bensì con un’opera di bene: battendo i pugni sul tavolo, costrinse la Fia a concedergl­i la Superlicen­za che a rigor di norma non gli sarebbe spettata. In qualche maniera ha sempre saputo farsi amare da chiunque, comprese le persone giuste: senza uno zio acquisito leader nel settore degli ami da pesca non avrebbe avuto i soldi per correre. Ha sposato prima una Miss Scandinavi­a e poi un’assistente di volo. La McLaren, in perfetto stile calcistico, lo prese pagando alla Sauber trenta milioni più una flotta di tir. La Ferrari lo ingaggiò nel 2007 per sostituire Schumacher, appunto, e subito lo portò al titolo e viceversa. L’Alfa Romeo ricomincer­à da Bottas, l’altra faccia della Finlandia. Vabbè, non è il caso di deprimersi.

Ha sempre riso per ultimo, tra battute acide e l’inesauribi­le voglia di vivere

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