Kimi, l’ultimo show dell’antidivo
Cinico, sarcastico, egocentrico, velocissimo E fino alla fine coscienza critica del circus
Quindi, siccome niente dura in eterno, dovremmo alzare le spalle e guardare avanti. Ok, fatto. Adesso voltiamoci di nuovo verso un tempo in cui la Formula 1 sembrava migliore, non c’erano gare sprint del piffero, i direttori di corsa non buttavano lì a caso le bandiere come targhette colorate a una visita oculistica e i piloti non sganciavano quasi mai le macchine a siluro contro gli avversari, perché sapevano che c’era un tempo per vincere e un tempo per pensare. Qualcuno di tanto in tanto lo faceva comunque e ancora oggi se ne discute nei peggiori bar del mondo. Poi è vero che questo noiosissimo caos produce un Mondiale con due pari in classifica all’ultima partenza e quasi viene da ripensarci, finché il geniale filosofo cinico chiamato Kimi Raikkonen non interviene: «E a me che cosa importa? Verstappen e Hamilton si sono scambiati le posizioni tante volte e alla fine uno di loro avrà più punti del’altro. Mi sembra tutto un po’ esagerato, anche le polemiche, anche gli incidenti. A me è capitato di peggio». In quel momento capisci definitivamente che di una Formula 1 senza di lui si può fare a meno.
O magari no, ma bisognerà digerirla. Intanto siamo abituati a pendere dalle labbra di Kimi, le uniche capaci sempre di scagliare parole inattese, fuori delle memorie programmate. Di quelle che uscendo dalla radio sbattono sulla faccia degli ingegneri e scombinano loro i pensieri. «Mi disturba la scia della Force India o come cavolo si chiama oggi», «Se adesso state zitti forse riesco persino a guidare». Condannato a essere considerato taciturno perché la sua ironia ghiacciata non stava bene nei titoli. Così lo chiamarono Iceman, luogo comune da brividi, e lui si è sempre chiesto perché. Raikkonen poteva essere la musa di uno scrittore, è stato l’abisso dei giornalisti, e avevi voglia a scrutarci dentro: «Alla Ferrari ho passato bei periodi, insieme abbiamo vinto un Mondiale e questo è tutto». Perfetto compagno di sé stesso: «Non so che cosa direi se incontrassi un Kimi Raikkonen ventunenne. Suppongo che non gli parlerei nemmeno».
E noi dovremmo, dovremo fare a meno di uno così. Se ne va dalla Formula 1 semplicemente perché ne ha voglia: «Sono stato in giro abbastanza. D’ora in avanti accompagnerò i miei figli a scuola. Altri progetti per il momento non ne ho». Sì, aveva già annunciato e fatto cose del genere, nel 2010 e nel 2011 è rimasto fuori per correre nel Mondiale rally ma non perché come finlandese sentisse il dovere di onorare lo sport nazionale. Anche qui, ne aveva voglia e basta. E ha gareggiato in Nascar gratificando la sua squadra di un caldo «Sono commosso per quanto facciamo schifo» e pure nelle corse per motrici di camion.
Essere insultato da lui non fa poi tanto male, perché il suo sarcasmo è sempre infarcito di intelligenza. E non ha mai risparmiato neanche il suo migliore amico, cioè Raikkonen: «Che cosa ho fatto durante la pausa estiva? Mi sono ubriacato per sedici giorni, sinceramente non ricordo granché». Se gli girava, t’invitava a bere con lui. Oppure ti prendeva in simpatia e ti sottoponeva a altre ordalie. Vettel gli sta simpatico e da lui ha imparato diverse canzoncine in finlandese.
Ha vissuto la Formula 1 come fosse una lunga festa, ci è arrivato con il minimo numero di gare propedeutiche in monoposto (ventitré, tutte in Formula Renault) e se ne va, sazio e divertito ultraquarantenne, con il primato di gran premi disputati. Lo scoprì Peter Sauber nel 2001, lo benedisse Michael Schumacher non con preghiere bensì con un’opera di bene: battendo i pugni sul tavolo, costrinse la Fia a concedergli la Superlicenza che a rigor di norma non gli sarebbe spettata. In qualche maniera ha sempre saputo farsi amare da chiunque, comprese le persone giuste: senza uno zio acquisito leader nel settore degli ami da pesca non avrebbe avuto i soldi per correre. Ha sposato prima una Miss Scandinavia e poi un’assistente di volo. La McLaren, in perfetto stile calcistico, lo prese pagando alla Sauber trenta milioni più una flotta di tir. La Ferrari lo ingaggiò nel 2007 per sostituire Schumacher, appunto, e subito lo portò al titolo e viceversa. L’Alfa Romeo ricomincerà da Bottas, l’altra faccia della Finlandia. Vabbè, non è il caso di deprimersi.
Ha sempre riso per ultimo, tra battute acide e l’inesauribile voglia di vivere